La sindrome del QT lungo acquisito

Dott. G. De Ferrari
Dott.ssa V. Dusi

Introduzione

La sindrome del QT lungo acquisita (aLQTS) viene diagnosticata in presenza di un prolungamento patologico dell’intervallo QT, eventualmente complicato da aritmie ventricolari maligne del tipo Torsione di Punta, che si verifica in determinate circostanze ambientali, con successivo ripristino dei valori di normalità una volta rimossi i fattori scatenanti. Il fattore scatenante più frequentemente implicato (ma non l’unico) sono i farmaci.  La aLQTS rappresenta una problematica importante per l’intera classe medica e per la salute pubblica in generale, a causa del gran numero di farmaci con potenzialità di indurre questo effetto avverso, del gran numero di pazienti esposti e della nostra capacità ancora molto limitata di prevedere il rischio di aritmie fatali nello specifico individuo.

Meccanismi del prolungamento acquisito dell’intervallo QT

L’intervallo QT all’ECG di superficie esprime la durata complessiva di due processi elettrici, la depolarizzazione ventricolare (complesso QRS) e la ripolarizzazione ventricolare (segmento ST-ondaT). La ripolarizzazione ventricolare, coinvolgendo numerosi canali ionici (figura 1), è un processo ampiamente ridondante con una elevata possibilità di compensazione. Il prolungamento dell’intervallo QT riflette il prolungamento del potenziale d’azione dei cardiomiociti ventricolari, che può risultare da una riduzione delle correnti ripolarizzanti in uscita  (per lo più derivante da un ridotto funzionamento dei canali al potassio) o da un aumento delle correnti depolarizzanti in entrata (che può derivare da un aumentato funzionamento dei canali al sodio o di quelli al calcio).  Mutazioni a carico dei geni che codificano per tali canali (o per proteine che interagiscono con i canali) sono alla base della Sindrome del QT lungo congenito. L’ alterato funzionamento di uno o più dei medesimi canali ionici secondario a fattori ambientali (farmaci, disionie, concomitanti patologie cardiache e altro) e in assenza di mutazioni patogenetiche è alla base delle Sindrome del QT lungo acquisito.

Figura 1

Figura 1: Corrispondenza temporale semplificata tra intervallo QT all’ECG di superficie e potenziale d’azione con specifica delle singole correnti ioniche coinvolte e delle denominazioni delle varie fasi del potenziale d’azione (parte di destra della figura). Le frecce in questa figura indicano la direzione della corrente cationica (freccia verso l’alto=in uscita dalla cellula, freccia verso il basso=in entrata) INa-L=Componente lenta della corrente del sodio. Il fulmine che sovrasta IKr sottolinea il fatto che si tratta della corrente piu’ frequentemente implicata nella Sindrome del QT lungo acquisita (inibizione di IKr). Modificata da Dusi V, De Ferrari GM. Sincope, Morte Improvvisa e Canalopatie. In: CARDIOLOGIA per studenti e medici di medicina generale. Pasquale Perrone Filardi. Edizioni EDILSON-GNOCCHI. 2020. ISBN: 978-88-7947-7079. Chapter 7, p. 253-294.

Il meccanismo di gran lunga prevalente, sebbene non l’unico, della Sindrome del QT lungo acquisito è il blocco/ridotto funzionamento della corrente del potassio IKr (ossia la componente rapida della corrente al potassio rettificatrice ritardata). La subunità alfa dei canali tetramerici che mediano la corrente IKr è codificata dal gene HERG (oggi più frequentemente denominato KCNH2). Ne consegue che la forma più frequente di Sindrome del QT lungo acquisito riconosce il medesimo meccanismo patogenetico della Sindrome del QT lungo di tipo 2, ossia la perdita di funzione di IKr. Il motivo per cui la corrente del potassio IKr è particolarmente sensibile all’effetto di blocco di diverse sostanze è riconducibile alle peculiari caratteristiche strutturali del canale, nello specifico alla composizione aminoacidica della regione del poro che risulta idrofoba e particolarmente “permissiva” all’ingresso di diversi composti. Come conseguenza del gran numero di farmaci strutturalmente diversi con proprietà inibitorie sulla corrente IKr, da oltre un decennio tutte le nuove molecole vengono sottoposte, prima di essere utilizzate in clinica, ad un ampio screening preclinico volto a rilevare il loro potenziale di blocco di IKr. Va precisato a tal proposito che il potenziale proaritmico di un determinato composto in termini di capacità di prolungamento dell’intervallo QT e di induzione di aritmie ventricolari maligne non sempre si correla strettamente con la potenza di blocco di IKr, in quanto la molecola può presentare anche altre proprietà con effetto antiaritmico (per esempio la capacità di bloccare la corrente tardiva del sodio, INaL, o l’effetto antiadrenergico) o proaritmico.  

In aggiunta all’effetto diretto di blocco del canale, altri fattori come ad esempio l’ipokaliemia possono agire determinando una riduzione del numero dei canali che mediano la corrente IKr espressi sulla superficie della cellula.

Infine, tra gli altri meccanismi in grado di determinare un prolungamento acquisito dell’intervallo QT, vanno ricordati il blocco/ridotto funzionamento di IKs (ossia la componente rapida della corrente al potassio rettificatrice ritardata) e l’aumentato funzionamento della corrente tardiva del sodio (INaL) o della corrente lenta del calcio (ICaL). Tali fenomeni possono essere il risultato dell’effetto di alcuni farmaci o, più frequentemente, far parte del cosiddetto rimodellamento elettrico che si verifica in differenti forme di cardiopatie, sia congenite che acquisite. Un esempio tipico è quello del blocco atrioventricolare completo con scappamento giunzionale lento (o pacing ventricolare lento), in cui si verifica un rimodellamento elettrico caratterizzato da una moderata riduzione dell’espressione di IKr e da una importante riduzione dell’espressione di IKs. Un altro esempio è l’ipertrofia miocardica, tipicamente associata a ridotto funzionamento delle correnti ripolarizzanti al potassio e aumento della correnti depolarizzanti sia del sodio che del calcio.  

Meccanismi aritmogeni nell’ aLQTS e un pò di storia

Episodi sincopali associati all’assunzione di chinidina (farmaco antiaritmico di classe IA che a basse concentrazioni è un potente bloccante di IKr, a concentrazioni più elevate blocca soprattutto le correnti al sodio) sono stati riportati per la prima volta negli anni 20, tuttavia il meccanismo patogenetico è rimasto sconosciuto per decenni.  Il termine di Torsione di Punta (TdP) è stato utilizzato per la prima volta nel 1966 dal cardiologo francese Dessertenne per descrivere una peculiare forma di tachicardia ventricolare polimorfa rapida caratterizzata da complessi QRS che variano progressivamente in ampiezza e morfologia, dando l’impressione di oscillare intorno all’isoelettrica. La maggior parte degli episodi di Tdp sono autolimitantisi e si manifestano clinicamente, a seconda della durata e della cardiopatia di base, come episodi lipotimici o sincopali, o raramente come eventi asintomatici. La TdP può tuttavia degenerare in fibrillazione ventricolare (FV) e causare quindi arresto cardiocircolatorio. Negli anni successivi è stata identificata la correlazione tra prolungamento dell’intervallo QT e rischio di TdP e, nel 1989, è stato segnalato il primo caso di prolungamento dell’intervallo QT complicato da TdP associato alla terfenadina, farmaco antistaminico con potente effetto di blocco di IKr. In seguito sono stati riportati almeno 125 decessi negli Stati Uniti in persone altrimenti sane legate all’assunzione della terfenadina, motivo per cui il farmaco è stato definitivamente rimosso dal commercio nel 1997.  A partire da quegli anni, numerosi studi preclinici hanno indagato la relazione tra il prolungamento dell’intervallo QT e lo sviluppo di TdP. 

Il prolungamento dell’intervallo QT può causare postpotenziali precoci (in inglese early afterdepolarizations, EADs) dovuti all’attivazione di correnti depolarizzanti (canali del calcio tipo L o scambatore sodio/calcio), i quali, se raggiungono il valore soglia, possono causare una extrasistole ventricolare.  Tale extrasistole può essere seguita da una pausa compensatoria, con conseguente ulteriore prolungamento dell’intervallo QT (e alterazioni della morfologia dell’onda T) nel battito sinusale successivo e maggior probabilità che un EAD arrivi a soglia. La seconda extrasistole, in presenza di ulteriori fattori favorenti (dispersione della ripolarizzazione) può innescare la Tdp, che è quindi usualmente preceduta da una classica sequenza elettrocardiografica “breve-lungo-breve”, in cui il lungo è la pausa compensatoria dopo la prima extrasistole.

Farmaci in grado di indurre aLQTS

Come già visto in precedenza, la maggior parte dei farmaci in grado di indurre un prolungamento acquisito dell’intervallo QT agiscono come bloccanti di IKr, tuttavia non tutti i farmaci bloccanti di IKr hanno pari potenzialità di indurre TdP. Un tipico esempio è quello del sotalolo e dell’amiodarone. Il sotalolo si trova in commercio soltanto nella forma racemica di d,l-sotalolo: entrambi gli isomeri d ed l sono bloccanti di IKr, ma soltanto l’isomero l è dotato di attività beta-bloccante (non selettiva). Sebbene sia il sotalolo che l’amiodarone possano determinare un prolungamento dell’intervallo QT, soltanto il sotalolo blocca il canale preferenzialmente alle basse frequenze cardiache (reverse use dependence), causa un significativo aumento della dispersione della ripolarizzazione ed è in grado di elicitare riproducibilmente sia EADs che TdP in modelli preclinici. Al contrario l’amiodarone blocca IKr senza reverse use dependence e determina un prolungamento omogeneo del potenziale d’azione nei diversi strati miocardici e nelle diverse regioni cardiache, riducendo quindi la dispersione della ripolarizzazione e rendendo il miocardio meno suscettibile ad aritmie ventricolari da rientro. L’amiodarone inoltre, essendo una molecola con capacità di blocco di numerosi canali e recettori, presenta anche effetti elettrofisiologici addizionali che concorrono a spiegarne la relativa sicurezza, tra cui l’antagonismo non competitivo dei recettori alfa e beta-adrenergici e il blocco dei canali del calcio di tipo L, che possono ridurre la suscettibilità ad EAD. Dal punto di vista clinico, l’incidenza di TdP in amiodarone è inferiore all’1%, mentre con il d,l-sotalolo varia tra lo 0.8% ed il 4.4%. Va precisato che tali percentuali derivano per lo più’ da studi degli anni ’90-primi anni 2000, quando si utilizzavano dosaggi molto maggiori dei farmaci in questione rispetto alla abituale pratica clinica italiana, in particolare dosi di sotalolo maggiori di 240 mg/die (sino a 640) e dosi di amiodarone >200 mg/die. L’incidenza di TdP è ovviamente inferiore per farmaci non antiaritmici, che hanno in ogni caso una potenza minore di blocco di IKr rispetto ai farmaci antiaritmici. Una lista costantemente aggiornata dei farmaci con potenziale di prolungamento dell’intervallo QT può essere reperita all’indirizzo https://www.crediblemeds.org/, di cui ora è disponibile anche l’applicazione per smartphone. Per la maggior parte di tali farmaci (esclusa la chinidina), il rischio aritmico aumenta con l’aumentare delle concentrazioni plasmatiche. I farmaci sono riportati come appartenenti a diverse categorie in relazione al loro rischio di indurre TdP:

  • Rischio noto di TdP: farmaci che prolungano l’intervallo QT e sono stati chiaramente associati allo sviluppo di TdP, anche se assunti nelle modalità raccomandate (esempio sotalolo)
  • Rischio possibile di TdP: famaci che possono causare prolungamento dell’intervallo QT ma per i quali non ci sono evidenze di un rischio di TdP, quando assunti nelle modalità raccomandate
  • Rischio condizionale di TdP: farmaci che possono prolungare l’intervallo QT e causare TdP, ma soltanto in determinate circostanze di utilizzo (sovradosaggio e/o presenza di fattori di rischio addizionali, elencati sotto)
  • Farmaci da evitare nei soggetti affetti da Sindrome del QT lungo congenito: si tratta di tutti i farmaci appartenenti alle 3 categorie precedenti, con l’aggiunta di altri che agiscono con meccanismi differenti (per esempio beta-agonisti)

La tabella 1 riassume le principali categorie di farmaci con rischio noto di TdP.

Antiaritmici
Classe IA (Chinidina, Procainamide, Diisopiramide)
Classe III (Dofetilide, Ibutilide, Sotalolo, Amiodarone, Dronedarone)
Classe IV (Verapamil)  
Antibiotici/antiprotozoari/antifunginei
Macrolidi (eritromicina, claritromicina, azitromicina)
Fluorochinoloni (ciprofloxaina, levofloxacina, moxifloxacina, sparfloxacina)
Fluconazolo
Pentamidina
Clorochina
Alofantrina
Antipsicotici
Citalopram
Fenotiazine
Tioridazina
Clorpromazina
Butirofenone
Aloperidolo
Pimozide
Mesoridiazina
Procinetici
Cisapride
Miscellanea
Triossido di arsenico
Metadone  
Droperidolo
Terfenadina
Tabella 1

Fattori di rischio di TdP

Nella maggior parte dei casi le aritmie ventricolari maligne (TdP/FV) si verificano come conseguenza dell’esposizione a uno o più farmaci con potenziale di prolungamento dell’intervallo QT, in presenza di ulteriori fattori di rischio. Tra i più importanti e frequenti vanno ricordati il sesso femminile, le disionie (ipokaliemia, ipomagnesiemia, ipocalcemia), la bradicardia, la presenza di una cardiopatia associata, la recente conversione in ritmo sinusale dopo fibrillazione atriale, le interazioni farmacocinetiche (ossia la contemporanea assunzione di farmaci in grado di rallentare il metabolismo della o delle molecole con potenziale di prolungamento dell’intervallo QT, aumentandone i livelli plasmatici) e la predisposizione individuale (farmacogenetica, trattata nel successivo paragrafo). 

Diversi studi hanno riportato una preponderanza femminile dei casi di TdP (da 2 a 3 volte più frequente nelle donne rispetto agli negli uomini). Queste osservazioni cliniche, unitamente al fatto che l’intervallo QT si riduce fisiologicamente dopo la pubertà nei maschi ma non nelle femmine, suggerisce fortemente un ruolo importante degli ormoni sessuali nel modulare la ripolarizazione ventricolare. In particolare, il testosterone, aumentando l’espressione sia di IKr che di IKs, determina un accorciamento dell’intervallo QT ed è considerato il principale responsabile del minor rischio di TdP nei maschi. Strettamente legato a questo, va sottolineato come, sebbene non siano ancora stati formalmente riportati come farmaci a rischio di aLQTS, vi siano ormai diverse segnalazioni del potenziale rischio di Tdp, in concomitanza di altri fattori di rischio per prolungamento dell’intervallo QT, per i farmaci antiandrogenici, di utilizzo sempre più comune per esempio per i tumori prostatici.  Vi sono inoltre iniziali segnalazioni del potenziale rischio di prolungamento dell’intervallo QT anche per contraccettivi estroprogestinici dotati di forte attività antiandrogenica.

Un’ altra condizione favorente molto comune sono le disionie, talora presenti in maniera associata. La più comune è certamente l’ipokaliemia, che, anche in forma moderata, è in grado di potenziare considerevolmente l’effetto di blocco di IKr di altri composti. Una menzione particolare merita inoltre l’ipomagnesiemia. Va ricordato infatti che diversi fattori ambientali nonche’ farmaci possono interferire con l’assorbimento intestinale del magnesio. Tra i farmaci di maggior impiego ricordiamo gli inibitori di pompa protonica, il cui utilizzo per periodi prolungati può determinare ipomagnesiemia.  

Per quanto rigiuarda le interazioni tra farmaci, in aggiunta all’ovvio rischio incrementale derivante dall’esposizione a più farmaci con effetto modultorio diretto sui canali ionici cardiaci (interazione farmacodinamica), un altro meccanismo di interazione molto comune è quella farmacocinetica derivante dall’assunzione di uno o più farmaci che inibiscono il metabolismo di farmaci con potenziale di prolungamento del QTc, con conseguente aumento dei livelli plasmatici degli ultimi. Le proteine della superfamiglia del citocromo P450 sono responsabili del metabolismo della maggior parte dei farmaci a livello epatico, e CYP3A4 è il citocromo principale. La somministrazione di uno o più farmaci inibitori di CYP3A4 può aumentare significativamente i livelli plasmatici dei farmaci con potenziale di prolungamento del QTc che siano anche substrati di CYP3A4 (la maggior parte). Condizioni di disfunzione renale o epatica, soprattutto se acute, possono agire con il medesimo meccanismo (riduzione delle clearance dei farmaci).

Infine, tra i fattori di rischio per aLQTS, come evidenziato anche in occasione della pandemia da SarS-Cov2, appare rilevante una infiammazione sistemica con attivazione dell’immunità aspecifica. In primis è stato dimostrato che condizioni infiammatorie croniche quali l’artrite reumatoide si associano ad un aumentato rischio di prolungamento dell’intervallo QT e di aritmie ventricolari maligne, rischio che correla coi livelli plasmatici di citochine infiammatorie ed in particolare di interleuchina 6 (IL-6). È stato inoltre dimostrato che l’IL-6 riduce IKr tramite riduzione dell’espressione proteica, può inibire in maniera potente CYP3A4 e aumentare il tono simpatico cardiaco agendo direttamente a livello centrale (ipotalamico). Più recentemente la medesima correlazione tra livelli circolanti di IL-6 e rischio di aLQTS è stata dimostrata anche per soggetti affetti da forme severe di COVID-19, tanto da portare a proporre l’utilizzo di inibitori mirati dell’IL-6 non solo in pazienti con disfunzione multiorgano, ma anche in quelli con valori basali di QTc superiori a 500 msec.

Farmacogenetica della aLQTS

La suscettibilita ad aLQTS può essere influenzata da varianti genetiche polimorfiche (anche detti polimorfismi, ossia varianti genetiche comuni, con una frequenza allelica maggiore dell’1% nella popolazione di una determinata etnia) di vario tipo. Si stima che, in assenza di mutazioni a carico dei geni implicati nella cLQTS, l’ereditarietà della durata dell’intervallo QT nella popolazione generale sia intorno al 35%. Gli studi di associazione genome-wide (in inglese genome-wide association study, o GWAS) hanno rivelato l’esistenza di numerosi loci genici associati alla durata dell’intervallo QT, che comprendono sia varianti polimorfiche di geni che codificano per i canali ionici cardiaci e che sono già stati riconosciuti come geni-malattia nella cLQTS, che nuovi geni. Un esempio della prima categoria è il polimorfismo K897T a carico del gene KCNH2. Tale polimorfismo è estremamente comune, essendo presente circa nel 30% dei caucasici, e di per sé determina una riduzione molto modesta di IKr. Tuttavia, in circostanze particolari quali la fase sub-acuta di un infarto miocardico, tale polimorfismo può aumentare considerevolmente il rischio di TdP. Un esempio della seconda categoria sono polimorfismi a carico del gene NOS1AP, che codifica per una proteina implicata sia nella regolazione dei canali del calcio di tipo L nei cardiomiociti, che nella regolazione del rilascio di noradrenalina e di acetilcolina dalle terminazioni nervose cardiache. Infine, va sempre ricordato che il prolungamento dell’intervallo QT che si manifesta a seguito dell’assunzione di un farmaco può essere la prima manifestazione clinica di una forma altrimenti sublinica di cLQTS. Da un recente studio che ha inlcuso 188 pazienti con evidenza di prolungamento dell’intervallo QT a seguito dell’assunzione di farmaci, 86% dei quali sintomatici (TdP/FV/sincope o arresto cardiaco), e’ emerso che il 28% presentava mutazioni a carico di uno dei 5 principali geni malattia implicati nella cLQTS (prevalentemente KCNH2), rappresentando quindi a tutti gli effetti casi latenti di cLQTS. Dall’analisi multivariata sono emersi 3 predittori indipendenti dell’essere portatori di mutazioni, ossia età inferiore ai 40 anni, QTc basale (prima del farmaco) ≥ 440 msec, presenza di sintomi in associazione al prolungamento del QTc, che gli autori hanno utilizzato per costruire uno score di rischio clinico. La prevalenza di mutazioni patogenetiche era dello 0% in soggetti senza nessuno dei predittori, a fronte del 63% nei sogetti con tutti e 3 i predittori.  

Prevenzione e gestione della aLQTS

Alla luce di quanto esposto, la prevenzione, tramite il monitoraggio dell’intervallo QT laddove indicato e la correzione dei fattori di rischio modificabili, e’ di fondamentale importanza per ridurre il rischio di aritmie ventricolari maligne nell’ambito della aLQTS. La decisione di sospendere o ridurre la posologia di un farmaco con potenziale di prolungamento dell’intervallo QT dipende dall’entità del prolungamento e dal rapporto rischio/beneficio del farmaco. In genere vengono considerati elementi maggiori di allerta valori di QTc>500 msec o variazioni del QTc>60 msec in assenza di fattori confondenti (esempio, concomitante importante ipokaliemia acuta) a seguito dell’avvio della terapia farmacologica oggetto di monitoraggio.

In acuto, in caso di aritmie ventricolari maggiori o di fattori di rischio elettrocardiografici per il loro sviluppo incipiente (alternanza macroscopica dell’onda T, frequenti extrasistoli ventricolari con alterazioni importanti dell’onda T nel battito post-extrasistolico), il solfato di magnesio in vena è estremamente efficace, anche in soggetti con magnesiemia normale, nel sopprimere le EAD e quindi nel prevenire le aritmie ventricolari maligne anche in assenza di riduzione del QTc. L’efficacia del solfato di magnesio è dovuta al potente effetto di blocco esercitato sui canali del calcio di tipo L.  La correzione dei fattori di rischio deve prendere in considerazione anche il pacing, temporaneo o definitivo, in presenza di importante bradicardia e/o di ritmi instabili con lunghe pause. Negli ultimi anni si sta inoltre iniziando a diffondere, in centri selezionati, l’utlizzo del blocco percutaneo del ganglio stellato di sinistra, un intervento antiadrenergico molto potente a livello ventricolare, privo dell’effetto bradicardizzante che invece hanno tutti i farmaci betabloccanti.

Da un punto di vista farmacologico, ad oggi, non sono ancora disponibili in commercio farmaci attivatori di IKr (che peraltro potrebbero a loro volta avere un rischio proaritmico). Tra i farmaci antiaritmici attualmente in commercio, una menzione particolare va riservata alla mexiletina, molecola di vecchia data che recentemente ha dato buone dimostrazioni preliminari di efficacia nel ridurre i valori di QTc e nel prevenire aritmie ventricolari maggiori sia in pazienti affetti da aLQTS che in soggetti affetti da Sindrome del QT lungo congenito di tipo 2 (oltre a quelli affetti da cLQTS di tipo 3, in cui la mexiletina si usa dagli anni ’90), verosimilmente grazie al suo effetto di blocco della corrente tardiva del sodio, oltre a quella rapida.

Referenze

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