La terapia diuretica dell’edema

I diuretici possono venire impiegati in svariate condizioni cliniche, tra le quali le più frequenti sono l’edema, gli squilibri idro-elettrolitici (ipo e ipernatremie, iperpotassiemie), gli squilibri acido-base (alcalosi respiratorie), le iper ed ipocalcemie, la paralisi periodica familiare.

In questo scritto ci occuperemo esclusivamente della terapia dell’edema.

 

DEFINIZIONE

L’edema consiste in un accumulo di liquido extracellulare in eccesso rispetto al valore normale, tale da determinare una imbibizione dei tessuti periferici riconoscibile clinicamente, ed un misurabile aumento del peso corporeo.

 

GLOSSARIO

ADH = ormone antidiuretico;

ANP = peptide natriuretico atriale;

CA = anidrasi carbonica;

CD = dotto collettore;

Cl = ione cloro;

DHT = di-idro-clorotiazide;

DT = tubulo distale;

ENaC =  “epithelial Na channel”, il canale del Na presente nella membrana luminale del DT e CD, la cui sintesi viene indotta dall’aldosterone

F = furosemide;

FENa = frazione escreta del Na filtrato = UNa/PNa · PCr/UCr

FG = Filtrato Glomerulare;

HCO3 = ione bicarbonato

HL = ansa di Henle;

IRA = insufficienza renale acuta;

IRC = insufficienza renale cronica;

IR = insufficienza renale;

K = ione potassio;

Na = ione sodio;

PA = pressione arteriosa;

PCr = creatininemia;

PT = proteine totali;

PVC = pressiome venosa centrale;

q.d. = quaque die, una volta al giorno (b.i.d = 2 volte, t.i.d. = 3 volte, q.i.d. = 4 volte al dì)

q.a.d. = quaque altera die, a giorni alterni (anche q.o.d.)

SCC = scompenso cardio-circolatorio;

UNa = concentrazione urinaria di Na; UK = di K, UH+ =di idrogenoioni;

UOsm = osmolalità urinaria;

V = flusso urinario

VD = ventricolo destro;

VEC = volume extracellulare;

VIC = volume intracellulare;

VP = volume plasmatico totale;

VPeff = volume plasmatico efficace, il volume di plasma contenuto nei grossi vasi intratoracici, in grado di stimolare i recettori di volume:

 

OBIETTIVO

Lo scopo di questo scritto è di consentire ai Medici un metodo rapido, semplice ed efficace nel riconoscere le cause dell’edema, comprenderne la fisiopatologia, e mettere in pratica una terapia volta a correggere i meccanismi che ne abbiano determinato l’insorgenza.

 

PATOGENESI DELL’EDEMA

L’edema indica una ritenzione abnorme di Na ed acqua, reperibile clinicamente. È preceduto da subedema, non reperibile clinicamente, ma in grado di provocare le stesse conseguenze cliniche.

Il volume dei liquidi corporei risulta controllato da un sistema omeostatico, schematizzato nella Figura 1. Figura 1Questo sistema percepisce il volume circolante mediante recettori situati nei grossi vasi intratoracici: perciò, è solo il volume di questi vasi, detto volume plasmatico efficace (VPeff) che viene percepito come depleto (vasi flosci, recettori non “stirati” e, quindi, eccitati, invio di afferenze riflesse al sistema effettore indicanti di procedere a ritenere Na e H2O per riespandere il volume), oppure congesto (vasi con pareti “stirate”, blocco delle afferenze riflesse, inibizione del riassorbimento sodico, con conseguente escrezione dell’eccesso di Na ed H2O). L’accumulo di liquidi, quindi, avviene per una percezione errata del vo­lume extracellulare (VEC), o del VPeff, da parte del sistema di controllo, che li interpreta come alterati da deplezione di Na anche quando questa non sia presente: il siste­ma omeostatico si deforma in senso sodio­ritenente. La ritenzione di volume, che in natura e nella selezione naturale avviene solo per disidratazione o emorragie o di­giuno, è volta a ricostituire il volume man­cante. Cessa quando il VPeff o il VEC siano stati repletati, perché cessa con essa la deformazione del sistema omeostatico. Quando, tuttavia, il sistema continua ad essere informato del­la persistenza della deplezione di volume (anche quando questa non vi sia, o, addirittura, anche quando il volume in toto fosse aumentato), perché quello ritenuto non ha ricostituito il volume avvertito a livello dei sensori specifici, il sistema continua a ritenere so­dio, ingenerando edema e malattia.

Questo concetto appare facilitato analizzando i diversi tipi di edema riscontrati in clinica.

 

1) Edema cirrotico (ascite). Nella cirro­si epatica una parte del VP e VEC viene “sequestrata” nel distretto splancnico, cau­sa l’aumento delle resistenze sinusoidali, e viene sottratta al VPeff, che viene perciò correttamente percepito come ridotto dai recettori cen­trali. Viene quindi attivato il sistema della ritenzione sodica. Tuttavia i liquidi isoto­nici ritenuti vengono preferenzialmente riversati nel distretto splancnico, ove persistono le condizioni che ne determinano l’intrappolamento e la filtrazione nella ca­vità peritoneale per l’aumento della pres­sione sinusoidale e della pressione capil­lare peritoneale. Perciò il Na (e l’acqua) ri­tenuto viene “dissipato” in una cavità do­ve non partecipa al precarico cardiaco ed alla informazione dei recettori di volume, e quindi non attenua la deformazione del sistema omeostatico, che continua imper­territo a ritenere Na, generando ascite ed edema. Usare diuretici drastici o brusche sottrazioni di volumi eccessivi (paracentesi) in queste circostanze può risultare pe­ricoloso e precipitare una insufficienza re­nale funzionale (così detta perché dovuta ad un buon funzionamento del rene, male informato dai recettori).

 

2) Edema nefrosico. Nella NS (sindrome nefrosica) la per­dita proteica causa ipoproteinemia, se­gnatamente ipoalbuminemia, e quindi iponchia.

La iponchia sbilancia l’equilibrio fra gradiente pressorio idrostatico ed onco­tico attraverso le pareti capillari a favo­re del gradiente idrostatico: il flusso di filtrazione dal capillare all’interstizio au­menta, mentre il flusso di riassorbimen­to in senso opposto si riduce. Perciò, parte del plasma si trasferisce dall’inter­no del volume vascolare al volume in­terstiziale, finché la pressione idrostati­ca nell’interstizio non sarà aumentata fi­no a bilanciarne l’eccesso, relativamente alla pressione oncotica, presente all’in­terno dei capillari.

In conseguenza di ciò il volume pla­smatico intravascolare si contrae, mentre il volume interstiziale si espande.

La contrazione del volume plasmati­co comporta anche quella del VPeff e, quindi, del riempi­mento (precarico) e della porta­ta cardiaca.

Quest’ultima tende ad essere ripristi­nata mediante l’attivazione di meccani­smi compensatori, rappresentati, in particolare, da attivazione adrenergica (tachicardia, aumento delle resistenze periferiche, e quindi an­che renali, aumento della contrattilità, attivazione del sistema renina-angioten­sina-aldosterone).

Il volume tende ad essere ripristinato mediante la attivazione di recettori di vo­lume intratoracici (soprattutto nell’ atrio destro e nei grossi vasi), che stimolano la secrezione di ADH, inibiscono la secrezione di ANP (peptide natriuretico atriale), attivano l’asse renina-angioten­sina-aldosterone.

La conseguenza di tutto ciò è la at­tivazione dei meccanismi di ritenzione renale del sodio, ai quali contribuisco­no la ridotta filtrazione glomerulare determinata e dal ridotto volume circolante e dalla ipo­tensione, e dall’aumento delle resistenze vascolari renali.

La ritenzione sodica, una volta inne­scata, continua a rispondere agli stimoli che la controllano finché questi stimoli rimangano attivati. Normalmente, ricu­perato il volume plasmatico perduto, gli stimoli verrebbero soppressi ed il sistema ritornerebbe alla norma.

Nella sindrome nefrosica, causa la per­sistenza della proteinuria, e, quindi, del­la iponchia, l’eccesso di volume (introdot­to con gli alimenti o infuso terapeuticamente) che viene riassorbito dal re­ne, viene ad essere ri­versato prevalentemente nell’interstizio. Se il rapporto fra volume plasmatico in­travascolare e volume interstiziale fosse, nella sindrome nefrosica, di 1 a 10 (contro un rapporto normale di 1 a 4), oc­correrebbe riassorbire un eccesso di 10 litri di liquidi isotonici per riespandere il volume plasmatico di 1 litro.

Perciò, in queste circostanze, il riot­tenimento di uno stato stazionario fra in­troduzione alimentare ed escrezione uri­naria di sodio ed acqua, richiede la rico­stituzione del valore normale, in assoluto, del volume intravascolare, a cui consegue la soppressione degli stimoli sodio-rite­nenti. Questo risultato necessita del trat­tenimento di una quota in eccesso di so­dio ed acqua, riversata nell’interstizio, che ingenera edema, fino all’ anasarca, a seconda del volume in assoluto trattenuto.

Conseguenza di questo meccanismo pato­genetico è che contrastarlo con i diuretici, al fine di ridurre l’edema, richiede prudenza e l’uso di farmaci ad azione blanda e con­tinua, piuttosto che breve ed intensa, per non precipitare ipotensione, insufficienza renale, riduzioni indesiderate della porta­ta cardiaca. Quando la sindrome nefrosica va in remissione, spontanea o in seguito al trattamento medico, si normalizzano anche i volumi corporei e scompare l’edema, dopo che la albuminemia si sia normaliz­zata.

 

3) Edema renale. La funzione renale è data dalla somma delle funzioni singole delle unità funzionanti (i nefroni), che, nel­l’uomo, sono circa 1 milione per rene. Se i nefroni si riducessero a 20.000, pur funzionando normalmente riuscirebbero a smaltire il 1% del carico dietetico idrosali­no. Tuttavia l’accumulo di liquidi inibireb­be i recettori centrali ed attiverebbe la escre­zione sodica. Contemporaneamente la circolazione sistemica diverrebbe iperdina­mica, e questo comporterebbe un aumen­to del flusso ematico renale. Tuttavia, pri­ma che ciascun nefrone possa aumentare di 100 volte la propria capacità di elimina­re sodio (cosa comunque impossibile), ver­rebbe ritenuto un quantitativo patologico di liquidi, fino ad ingenerare edema, iper­tensione, e, talora, edema polmonare.

L’edema renale può intervenire, quindi, quando il numero delle unità funzionanti risulti ridot­to, come nell’esempio sopra riportato, op­pure quando la perfusione di ciascuna unità si riduca ad un livello estremamente basso, come nelle glomerulonefriti acute diffuse. Nel primo caso è evidente come sia necessario, per normalizzarlo, inibire farmacologicamente il riassorbimento tubulare per aumentare la escrezione di Na ed acqua ad una percentuale, assai più elevata dell’1% sopra ricordato, che corrisponda alla escrezione dell’introito alimentare giornaliero di acqua e sali.

 

4) Edema cardiaco. In molti casi di scompenso cardiaco il volume centrale è aumentato, eppure il paziente ritiene Na. Tuttavia la portata cardiaca risulta inva­riabilmente ridotta in rapporto a qualun­que valore di precarico. E’ possibile che la selezione naturale non sia intervenuta nel privile­giare la inattivazione della ritenzione so­dica nello scompenso cardiaco, una con­dizione che comunque comporta il soc­combere, in natura, di qualunque anima­le al suo predatore. Perciò, ogni caduta di portata a parità di precarico (scompen­so) viene interpretata dai sensori come ri­duzione del precarico (precarico inade­guato). Viene perciò privilegiata (dalla se­lezione) la diagnosi di una condizione re­versibile, che può comportare la salvezza dell’animale disidratato e/o dissanguato, se evitasse di perdere ulteriore volume. Quindi, lo scompenso cardiaco viene in­terpretato alla stregua della deplezione di volume. L’accumulo di liquidi è finalizza­to ad aumentare il precarico. Tuttavia, il volume ritenuto o aumenta la pressione venosa, risultando così futilmente seque­strato come edema periferico, oppure fa ridurre ulteriormente la portata, qualora aumentasse ulteriormente VPeff e precarico cardiaco, essendo il cuore già costretto a lavorare sulla por­zione discendente della curva di Starling. Perciò si innesca un circolo vizioso che comporta l’accumulo indefinito di liquidi.

 

5) Edema Idiopatico. Colpisce preva­lentemente le giovani donne, dove rappre­senta una accentuazione dell’edema pre­mestruale. Può essere aggravato dagli an­ticoncezionali. Tuttavia avviene più tipica­mente nelle stesse dopo consumo eccessi­vo di carboidrati, soprattutto nelle perso­ne che assumano diuretici cronicamente o saltuariamente per perdere peso. I diure­tici deformano il sistema omeostatico in senso sodio-ritentivo (non direttamente, ma grazie alla disidratazione da essi indotta). Alla loro sospensio­ne, o alla introduzione di eccessive quantità di liquidi (sete dopo abbondante introdu­zione di carboidrati), subentra una riten­zione idroelettrolitica “di rimbalzo” che può comporta­re l’accumulo improvviso di diversi kg di peso, o la formazione di edema cronico.

 

DIURETICI E TERAPIA DIURETICA

I diuretici usati in clinica sono illu­strati nella Figura 2.

Figura 2

1) Diuretici osmotici. Agiscono come diuretici prossimali. Non venendo usati per la terapia dell’edema, ma solo per quella dell’edema cerebrale, non rientrano nell’oggetto di questa discussione. Vengono tutti, tran­ne quelli osmotici (che sono solo filtrati ma non secreti), in parte filtrati ed in maggior misura secreti dal tubulo prossi­male, ed agiscono sempre dal solo lato endoluminale della membrana, bloccando siti di trasporto o cotrasporto specifici.

2) Inibitori della Anidrasi Carbonica (CA). Bloccano circa il 50% del riassorbimento prossimale di bicarbonato di Na. L’ec­cesso di bicarbonato non riassorbito prossimalmente perfonde il DT (tubulo di­stale), ne satura il riassorbimento risultan­do in natriuresi, diuresi, urine alcaline, aci­dosi metabolica. L’effetto di questi diure­tici scema man mano che si riduce il bicarbonato plasmatico, fino ad azzerarsi quando questo scenda al di sotto di 15 mEq/L, perché la quantità di bicarbonato filtrato corrispondente a questa concentrazione viene riassorbita prossimamente tramite il sistema di riassorbimento indipendente dalla CA. Questi diuretici sono usati solo nella terapia del glaucoma o in casi molto particolari, come le alcalosi metaboliche. Hanno emivita lunga (36 hr).

3) Diuretici dell’ansa di Henle (HL). Sono i più potenti perché capaci di bloccarne com­pletamente il trasporto sodico, mediante l’inibizione del sistema luminale di cotra­sporto Na-K-2Cl (Figura 3). Figura 3Inibiscono quindi il riassorbimento del 20-25% del Na filtra­to, la quota che compete alla HL. Bloccando il meccanismo di concen­trazione per controcorrente, producono una poliuria maggiore di quella attesa dalla sola natriuria. Hanno emivita breve (10­-20 minuti quando somministrati e.v., 2 hr p.o.), che viene prolungata fino anche a 24 hr in corso di insufficienza renale. Il loro effetto può essere annullato dall’aumento del riassorbimento a valle. Questo si veri­fica quando la quantità di Na riassorbito che viene bloccata, pur normale percentualmente, risulti ridotta in valore assolu­to e per una contrazione del FG, e per un aumento del riassorbimento percentuale prossimale. Se, contemporaneamente, vi fosse un forte potenziamento della avidità distale per il Na, soprattutto lungo il sito aldo­sensibile, il Na non riassorbito lungo l’HL per effetto del diuretico verrebbe riassorbito in parte o del tutto lungo il sito aldo-sensibile del DT. Questo si verifica in condizioni di ritenzione sodica. Perciò, le urine, anche in presenza di diuretico, purchè vi sia ritenzione sodica attivata, pos­sono contenere scarso Na+, molto K+ e H+, ed il paziente sviluppa alcalosi metabolica ipocaliemica (Figura 4). Figura 4La terapia con que­sti farmaci genera una diuresi drastica (utile nello scompenso cardiaco acuto), oppure instaura un difetto permanente del riassorbimen­to, indotto farmacologicamente con somministrazioni continue, che consente l’escrezione continuativa di elevate percentuali del Na filtrato (effetto intenzionalmente ricercato nella IRC). La de­plezione potassica è una complicanza pre­vedibile, eccetto che nella IRC, dove il farmaco aumenta la tolleranza per il K, facilitandone l’escrezione. Il farmaco è an­che calciurico e magnesiurico, tanto da es­sere impiegato per trattare le ipercalcemie.

4) Diuretici del tratto iniziale del Tubulo Distale (DT), detto segmento tia­zido-sensibile. L’ingresso del Na nella cel­lula attraverso la membrana luminale av­viene tramite un sistema di cotrasporto Na-Cl simile a quello dell’ansa, bloccato dai diuretici tiazidici, loro derivati ed ana­loghi (clortalidone). Al picco dell’effetto bloccano il riassorbimento di circa il 3-5% del Na filtrato. Sono adatti, data la emivi­ta lunga, per terapie che inducano un pic­colo difetto del riassorbimento, ma lo mantengano nelle 24 ore, come nel­l’ipertensione e scompenso cardiaco cro­nico. L’aumento compensatorio del tra­sporto sodico lungo il successivo segmen­to aldo-sensibile tende a provocare deple­zione potassica ed alcalosi metabolica, analogamente a quanto descritto per i diuretici dell’ansa. Au­mentano il riassorbimento di Ca, tanto da venire usati per correggere le ipercalciurie da difetto di riassorbimento tubulare, e da poter provocare lieve ipercalcemia.

5) Diuretici del segmento aldo-sensi­bile. Bloccano il riassorbimento sodico “in scambio” con la secrezione di protoni e di K. Perciò tendono a provocare natriuria, ipercaliemia ed acidosi metabolica. Vengono usati in associazione con diure­tici dell’ansa e distali per contrastarne la tendenza alla deplezione potassica ed alla alcalosi metabolica. Bloccano una quota variabile dal 1 al 5 % del Na filtrato che viene riassorbito, a seconda se il sistema di riassorbimento che inibiscono risulti soppresso o indotto dal­l’aldosterone e dal sistema generale di ritenzione sodica.

a) Amiloride e triamterene sono po­licationi organici, che penetrano nel cana­le del Na (“epithelial Na channel”, ENaC, Figura 5) Figura 5posto nella membrana luminale del tratto tardivo del tubulo convoluto distale, e nel tratto iniziale dei dotti collettori intracor­ticali, bloccandolo. Oggi si tende ad usa­re quasi solo l’amiloride, combinato con un diuretico tiazidico (Moduretic), nel trattamento cro­nico dell’ipertensione e dello scompenso cardiaco. Il Trimetoprim, contenuto nel “Bactrim”, è un catione organico che, in do­si elevate e protratte, provoca iperpotas­siemia, acidosi metabolica e acidosi tubu­lare distale, mimando, in parte, l’effetto dell’amiloride.

b) Gli spironolattoni (ad esempio, l’Aldactone, ed il suo metabolita attivo, Canrenone) sono analoghi dell’aldoste­rone privi di potere agonista. Essi per­ciò fungono da antialdosteronici e sono tanto più attivi quanto più elevata è la concentrazione di aldosterone ed il nu­mero di canali del Na, la cui formazio­ne è promossa dall’ormone e bloccata dagli antagonisti. Gli anti-aldo impiega­no tempo prima di raggiungere la mas­sima efficacia, perché i canali del Na preesistenti devono essere degradati, ma non saranno rimpiazzati da altri. Que­sti farmaci hanno emivita di circa 24 hr, e vengono usati per terapie protratte che richiedano una azione blanda e conti­nua, come nella ascite. Possono essere associati a diuretici caliurici che ne potenziano l’efficacia contrastandone, inoltre, l’effetto di ritenzione potassica (Moduretic, Lasitone) e di idrogenoioni (comportante lieve acidosi metabolica).

 

RESISTENZA AI DIURETICI

I meccanismi di compenso messi in moto dal rene e dal sistema omeostatico, capaci di contrastare e perfino di annullare l’azione e l’efficacia dei diuretici, sono il­lustrati dalla figura 6. Quando un diure­tico non agisce si dice che il paziente sia refrattario ad esso. Tuttavia, quasi sempre si tratta di efficacia nulla dovuta alla attiva­zione dei potenti meccanismi di ritenzione sodica che contrastano, fino ad annullarla, la inibizione indotta dai diuretici. Questo contrasto avviene riassorbendo “ a valle” lungo il nefrone, il Na+ il cui trasporto sia stato inibito  “a monte” dal diuretico. Quando questo avviene, occorre domandarsi se la terapia diuretica non sia inopportuna, e se non sia invece necessario ricostituire un volume centrale che, evidentemente, viene avvertito come depleto dai sensori dell’organismo.

 

TERAPIA DELL’EDEMA

Nel praticare la terapia diuretica, è necessario ricordare che il liquido che il rene elimina sotto l’effetto del diuretico viene prelevato direttamente dal volume circolante e, quindi, dal VPeff. Perciò, il VPeff si contrae, innescando la ritenzione sodica e la comparsa di insufficienza renale funzionale. Se le cose rimanessero così, la diuresi, poco dopo essere stata avviata, si interromperebbe rapidamente, e la fase di ritenzione sodica successiva riuscirebbe a  ripristinare il volume iniziale, vanificando l’effetto del diuretico. In effetti, questo succede spesso, come illustrato dalla Figura 6.

Figura 6Affinché questo non succeda occorre che, man mano che il diuretico riesce a far eliminare liquido circolante, il volume di quest’ultimo venga ripristinato grazie al riassorbimento di un egual volume di liquidi (edema) dall’interstizio: in questo modo l’edema viene riassorbito progressivamente alla stessa velocità con cui la diuresi elimina liquidi all’esterno, mantenendo costante il volume circolante e, con esso, il VPeff, la funzione renale, e la emodinamica sistemica. Anzi, se la escrezione di urina riuscisse a contrarre un VPeff iperespanso verso il suo valore normale, e con esso il precarico cardiaco, ne deriverebbe una miglior prestazione cardiaca, aumento della portata e, quindi, anche della emodinamica renale, condizionante una miglior risposta diuretica e una riduzione delle capacità sodio-ritenenti: la diuresi ne risulterebbe ulteriormente potenziata. Affinché questi favorevoli effetti coesistano, sono necessarie condizioni favorevoli ad un elevato flusso transcapillare di liquidi dall’interstizio al capillare, che richiede:

  • Elevata superficie di scambio: questa è tale nell’edema cardiaco, che è distribuito lungo buona parte della superficie enorme che separa l’insieme dei capillari sistemici dall’interstizio di tutto l’organismo. Al contrario, questa superficie risulta molto limitata nell’ascite, dove appare ristretta alla sola superficie del peritoneo, e nei versamenti pleurici trasudatizi o in altri edemi zonali;
  • Favorevole gradiente transcapillare delle forze di Starling, determinato da una elevata pressione idrostatica interstiziale e da una elevata pressione oncotica capillare: queste condizioni sono presenti nell’edema cardiaco, dove risultano favorite da tre fenomeni:

I – riduzione della pressione idrostatica capillare per effetto della iniziale contrazione del volume circolante determinata dalla diuresi iniziale;

II – aumento della pressione idrostatica interstiziale, che può essere ulteriormente aumentata sollevando gli arti del paziente al di sopra dell’atrio destro (manovra assai utile, quindi, terapeuticamente);

III – Lieve aumento della pressione oncotica capillare dovuta alla contrazione iniziale del volume per effetto della diuresi iniziale, che, facendo perdere solo acqua e sali, riconcentra le proteine del sangue.

Nell’ascite, oltre alla ridotta superficie di scambio, non è possibile manipolare la pressione dell’interstizio peritoneale sollevando gli arti, né è possibile nei versamenti pleurici trasudatizi. Inoltre, e nell’ascite e nella iponchia, l’effetto II appare assai modesto, tanto da risultare pressoché ininfluente.

Perciò, nell’edema cardiaco è possibile perseguire obiettivi di diuresi intensiva, perché appare agevole mantenere relativamente espanso il VPeff grazie all’elevato riassorbimento di edema dall’interstizio, mentre negli altri edemi, segnatamente l’ascite e l’edema ipo-oncotico, una diuresi eccessiva, ottenuta con diuretici potenti e ad alte dosi continuative, produce fatalmente gli effetti illustrati nella Figura 6: la iniziale contrazione del VP e VPeff non viene limitata da un adeguato riassorbimento di edema (ascite, liquido pleurico, o edema interstiziale nell’iponchia). Perciò, il VPeff si contrae ulteriormente, fino ad innescare la ritenzione sodica e la insufficienza renale funzionale. La diuresi si contrae e, nella guerra fra diuretici e rene, il rene emerge come unico vincitore, sempre. In questi casi quindi, la diuresi deve risultare blanda ed uniforme, commensurata al basso flusso di riassorbimento dell’edema, pena il fallimento della terapia diuretica. Questo appare necessario anche nell’edema cardiaco, quando sia prossimo alla risoluzione, perché, in questo caso, pur rimanendo elevata la superficie di scambio, il gradiente transcapillare delle forze di Starling diviene assai meno favorevole.

Da questi concetti appare evidente l’errore comunemente commesso da molti medici: questi monitorano la diuresi, e, quando la vedano contrarsi o la ritengano, in base a loro unità di misura arbitrarie, insufficiente, anziché chiedersi se le loro brillanti terapie non abbiano contratto eccessivamente il VPeff, incolpano il rene di non obbedire ai loro ordini, e intensificano la terapia diuretica. Il risultato, che sono sicuro molti abbiano potuto talora constatare, è che il paziente riguadagna peso ed edema durante la terapia diuretica, e nonostante la sua intensificazione, perché, come detto, dichiarare guerra al rene significa perderla con assoluta certezza.

É per questo che la terapia diuretica appare come un procedimento fisiopatologico in cui il medico attento deve monitorare costantemente il paziente, ricercando con scrupolo i segni della deplezione del VPeff, della riduzione della portata, della insufficienza renale funzionale. Spesso infatti la contrazione della diuresi rappresenta l’indizio di una brusca contrazione del VPeff causata da una diuresi iniziale eccessiva: anziché intensificare la terapia diuretica, potrebbe essere più saggio interromperla e infondere liquidi.

Perciò, la terapia diuretica deve essere continuamente rimodulata, e, anche dopo una soddisfacente diuresi intensiva, può divenire necessario cambiare diuretico, ricorrendo a farmaci meno potenti per mantenere l’effetto o completare il trattamento, oppure sospendere i diuretici stessi.

Da quanto detto deriva l’importanza, per il medico, di riconoscere gli elementi dai quali poter dedurre che la terapia diuretica sia risultata eccessiva ed abbia contratto in misura indesiderata il VPeff. Questi elementi sono:

a)      Clinici: sono costituiti dai segni della:

  • Disidratazione: a) PA (ipotensione); b) Ortostatismo; c) PVC ridotta (polso giugulare non riconoscibile, vene giugulari piatte); d) frequenza cardiaca elevata; e) secchezza di cute e mucose; f) sete intensa; g) afonia o voce roca;
  • Riduzione della portata cardiaca: a) Estremità fredde e sudate; b) Ampiezza del polso ridotta; c) Lucidità mentale compromessa; d) Flusso urinario ridotto;

b)      Laboratoristici:

  • a) Creatininemia elevata o in aumento;  b) Concentrazione urine (peso specifico oppure osmolalità delle urine) elevata (elemento inficiato dall’uso del furosemide, che blocca il potere di concentrazione delle urine);  c) UNa (concentrazione sodica delle urine) fortemente ridotta; d) Frazione escreta del Na filtrato (FENa) < 0,01, spesso < 0,001.

c)      Fisopatologici:

  • Iponatremia. La comparsa di iponatremia indica che il diuretico ha determinato deplezione sodica desiderata, ma in misura tale da causare sete e aumentata introduzione di solvente. Il paziente ricostituisce il volume, perduto per effetto del diuretico, con acqua, che, ritenuta causa la insufficienza renale funzionale, riespande, del tutto o in parte, il volume circolante, diluendovi il Na residuo fino a ridurne la concentrazione. All’iponatremia contribuiscono elementi iatrogenici, come il consiglio, purtroppo diffusissimo, di bere molta acqua, o, ancor peggio, l’abitudine di associare alla terapia diuretica la infusione di liquidi ipotonici. Perciò, una corretta terapia diuretica prevede la rigida limitazione della introduzione di liquidi e la interruzione di infusioni endovenose.

I – Il Furosemide inibisce il potere di concentrazione renale, provocando l’escrezione di più acqua che Na: le urine escrete al picco dell’effetto del farmaco sono più diluite del plasma. Perciò, il furosemide, di per sé, tenderebbe a causare ipernatremia. Questo non avviene perché il paziente, tramite la sete, reintroduce l’eccesso di acqua perduto. Il farmaco causa iponatremia quando la contrazione del VPeff risulta così importante da causare sete insopprimibile, con conseguente elevata introduzione di acqua, riespansione del VEC e diluizione del Na residuo in esso contenuto.

II – I diuretici tiazidici e quelli risparmiatori di K non influiscono sul potere di concentrazione urinario, provocando l’escrezione di più Na che acqua (in relazione alle loro rispettive concentrazioni plasmatiche). Perciò, questi farmaci tendono a provocare iponatremia di per sé, e, clinicamente, causano iponatremie più frequentemente del furosemide, anche se con contrazione del VPeff spesso meno importante o assente.

  • Ipopotassiemia. La sua genesi viene illustrata nella Figura 4. Quando la terapia diuretica abbia provocato riduzione eccessiva del VPeff e innescato la ritenzione sodica, la attivazione del riassorbimento sodico mediante il ENaC del tubulo distale diviene massimale. In queste circostanze continuare la somministrazione di diuretici comporta continua inibizione del riassorbimento sodico lungo il sito tubulare di azione del farmaco: il Na non riassorbito viene riversato a valle lungo il nefrone in quantità elevate. Giunto in presenza di un aumentato numero di canali del Na (ENaC) nel DT e CD, viene in gran parte o totalmente riassorbito a spese della secrezione di ioni K e idrogeno (H+), con conseguente ipopotassiemia e alcalosi. La comparsa di ipocaliemia indica che la terapia diuretica è divenuta eccessiva e ha stimolato potentemente il meccanismo di ritenzione sodica.
  • Alcalosi metabolica. Il meccanismo, sempre illustrato nella Figura 4, è identico al precedente. Lo ione H+ secreto “in scambio” col Na+ riassorbito, deriva dalla dissociazione dell’acido carbonico all’interno della cellula, dove lascia “spaiato” il proprio anione, il HCO3: questo si ri-appaia (si coniuga) con il Na+ riassorbito e viene riversato nel sangue dai sistemi di trasporto della membrana basolaterale (o sierosa) della cellula, generando nel sangue del bicarbonato di Na che provoca alcalosi metabolica. Perciò, anche la alcalosi costituisce indice di terapia diuretica eccessivamente “spinta”.

 

TERAPIA DIURETICA NELLA PRATICA MEDICA. Richiede:

1)      STIMARE IL PESO SECCO DEL PAZIONETE, CIOE’ IL PESO SENZA EDEMA.

2)      PORSI L’OBIETTIVO TERAPEUTICO: quanto peso perdere e in quanto tempo per raggiunger il peso secco:

  • Nello SCC acuto, possono essere eliminati diversi kg di peso al giorno, e la diuresi iniziale può, quindi, essere intensiva;
  • Nell’ascite e edema ipo-oncotico, la diuresi deve essere blanda e uniforme, con perdita di peso di circa 0,5kg/die (la velocità massima alla quale l’ascite può venire riassorbita attraverso il peritoneo). Fanno eccezione i casi di ascite in cui sia presente anche edema periferico non ipo-oncotico (compressione esercitata dall’ascite sulla cava, sindrome epato-polmonare con SCC), dove appare possibile perseguire, nei primi giorni, obiettivi analoghi a quelli dello SCC, fino a che l’edema periferico non sia scomparso, dopo di che si deve ritornare alla terapia standard;
  • Nell’IRC l’obiettivo consiste nel mantenere il peso secco e la tolleranza al sale contenuto negli alimenti inducendo, farmacologicamente, un difetto nel trasporto sodico, e un eccesso nell’eliminazione di K+e H+, che rendano possibile lo smaltimento, con le urine, del carico giornaliero di ioni che il rene, senza diuretico, non sarebbe in grado di effettuare: questo richiede alte dosi di diuretico (proporzionali all’entità della insufficienza renale) somministrate in modo da esercitare un effetto continuo;
  • Nello SCC cronico l’obiettivo diviene lo stesso che nell’ascite quando si sia in prossimità del peso secco desiderato, e lo stesso della IRC quando si debba mantenere con difficoltà il peso secco, o quando coesista IRC, ma ottenuto con dosi assai inferiori di farmaci;
  • Nell’ipertensione l’obiettivo consiste nel contrarre lievemente il volume, e mantenere la contrazione con tecniche simili a quelle della IRC, ma con farmaci usati nella ascite e nell’iponchia, a dosi ancora inferiori.

 

3)      INSTAURARE MISURE TERAPEUTICHE NON FARMACOLOGICHE:

  • Pesare il paziente giornalmente: le variazioni di peso misurano quelle del bilancio idrico. Non solo non è necessario, è errato cateterizzare il paziente per misurare la diuresi.
  • Restringere l’apporto idrico al minimo possibile. In genere, occorre lasciare non più di 500 ml di acqua (o vino) al giorno, riducendo le minestre ed eliminando thé e altri liquidi. Si ricordi che frutta e verdura corrispondono, in peso, ad acqua ingerita. Nonostante non sembri necessaria una laurea in Medicina per capire questo, moltissimi laureati in Medicina consigliano ai propri pazienti di bere molta acqua mentre praticano terapia diuretica;
  • Abolire infusioni endovenose di liquidi: vide supra;
  • Far tenere le gambe sollevate al di sopra dell’atrio dx, soprattutto di notte, quando è più agevole ottenere il riassorbimento dell’edema. É in queste ore che conviene somministrare i diuretici, perché la loro efficacia diviene maggiore e i loro effetti collaterali risultano minimizzati;

 

4)      SOMMINISTRARE I DIURETICI.

a)      SCC acuto:

  • In presenza di funzione renale preservata: Furosemide 20-40 mg e.v (1-2 fiale) o 25-50 mg p.o., da q.d. a q.i.d.: dosi più massicce non sono, in genere, necessarie, ma, finché vi sia edema, possono essere somministrate. Riservare le dosi maggiori alle ore 22 e oltre: come già detto, sono assai più efficaci (purché il paziente tenga le gambe sollevate), anche se comportano il fastidio di costringere il paziente ad alzarsi di notte per recarsi in bagno;
  • In presenza di insufficienza renale organica: Furosemide 125 – 250 mg e.v da q.d. a t.i.d. a seconda della perdita di peso voluta e del grado di insufficienza renale presente;

b)      NS, SCC cronico, ipertensione:

  • HCT 25 mg p.o., q.d., o Moduretic 1 cpr p.o. ore 22 (che può essere ridotto a q.a.d. o a 2 volte la settimana in mantenimento cronico) sono preferite nell’ipertensione e SCC cronico
  • Nello SCC cronico Furosemide, o Lasitone, 1 cpr p.o. alle 22, q.d. o q.a.d., possono fornire migliori risultati e causare meno iponatremia.

c)      Ascite e iponchia:

  • Aldactone o Canrenone (600 mg p.o., q.d. di aldactone nei primi 3 giorni, quindi 3-400 mg/die, ridotti a 100 mg in mantenimento quando raggiunto il peso secco). Si ricordi che, nell’ascite, i pazienti stanno meglio lasciando un minimo volume di ascite residua (1-2 litri), come volume di riserva in grado di tamponare riduzioni indesiderate del VPeff: non conviene tenere questi pazienti del tutto “secchi”, in genere. Analogo discorso vale per l’iponchia;
  • Conviene consigliare ai pazienti con ascite di recombere su un fianco o sull’altro, per azzerare la pressione esercitata dall’ascite sulla vena cava, che può causare edema periferico;

 

5)      MONITORARE LA TERAPIA DIURETICA:

  • Monitorare gli indici del VPeff (vide supra);
  • Monitorare gli indici di stima della portata cardiaca (vide supra);
  • Monitorare gli indici fisiopatologici, quelli laboratoristici solo se necessario;
  • Pesare quotidianamente;
  • Monitorare il K: se aumentasse, sostituire i diuretici potassio-ritenenti (aldactone, canrenone, amiloride, triamterene) con K-disperdenti (furosemide, tiazidici), se diminuisse, effettuare l’operazione contraria, oppure aggiungere KCl  p.o., 20-60 mEq/die;
  • Monitorare il Na: se comparisse iponatremia, restringere rigidamente i liquidi, e, se non sufficiente, sospendere i diuretici e infondere NaCl 3% lentissimamente in quantità calcolate per correggere il deficit;
  • Tentare di mantenere il peso secco senza diuretici, oppure con la dose minima necessaria;

 

6)      INDIVIDUARE IL CONSEGUIMENTO DELL’OBIETTIVO TERAPEUTICO

A) Scomparsa di rantoli, dispnea, turgore giugulare, edemi, aumentata tolleranza allo sforzo, assenza di segni di disidratazione, di iponatremia, di  alcalosi metabolica:  il peso corrispondente ALLO STATO ASINTOMATICO DI MASSIMO BENESSERE CLINICO DEL PAZIENTE rappresenta il PESO SECCO del paziente.

B) Il conseguimento del peso secco impone di modificare la terapia da attacco a mantenimento, con dosi ridotte dello stesso farmaco, o con farmaco diverso, opportunamente combinati a dieta iposodica e apporto idrico ridotto, oppure senza diuretici.

 

7)      TERAPIA DI MANTENIMENTO

A) Deve mantenere il risultato ottenuto con la terapia di attacco, dopo che sia stato raggiunto il Peso Secco.

B) Richiede una combinazione fra:

a) Allentamento controllato della restrizione idrica

b) Allentamento controllato della restrizione sodica

c) Cambio di farmaco:

– da Furosemide a diuretici meno potenti, oppure

– congrua riduzione del dosaggio del Furosemide

– congrua riduzione o sospensione di diuretici blandi

 

8)      INDIZI DI TERAPIA ERRATA

A)    La comparsa di iponatremia associata a mancata o scarsa perdita di peso indica insufficiente restrizione idrica.

B)    La comparsa di alcalosi metabolica ipocaliemica indica natriuresi eccessiva, sovradosaggio dei diuretici, eccessiva contrazione del volume extracellulare e/o circolante.

C)    La comparsa di diuresi ridotta, aumento di creatininemia, sete, ipotensione, estremità fredde indica diuresi iniziale eccessiva,  spinta oltre l’obiettivo del peso secco. Tuttavia, questi sintomi, dipendendo solo dal valore del VPeff, possono comparire anche in presenza di edema, perfino massivo, se una terapia diuretica incongrua avesse ridotto il VPeff a valori tali da causare sintomi. In questo caso la terapia deve essere interrotta, e occorre somministrare soluzione fisiologica.

 

9) COMPORTAMENTI MEDICI FREQUENTI IN CORSO DI TERAPIA DIURETICA

A)    ERRATI E FUORVIANTI

  • Non stabilire un obiettivo di peso
  • Cateterizzare il paziente per misurare la diuresi, o, comunque, usare la diuresi come guida alla terapia, secondo l’ assioma pseudo-matematico: meno diuresi = più diuretico. Di per sé, non vi è nulla di errato nel misurare (comunque senza catetere) la diuresi. Lo sconsiglio perché focalizza l’attenzione su un dato che può essere fuorviante: il dato vero è il peso. Se la diuresi fosse elevata e il paziente non perdesse peso, significa che vi è una incongrua assunzione di liquidi. Se la diuresi fosse scarsa e il peso fosse prossimo, o uguale, o inferiore a quello secco, si è in presenza di contrazione del VPeff e innesco della ritenzione sodica, il che richiederebbe di sospendere i diuretici, non di “spingerli”;
  • Infondere liquidi ipotonici o lasciare liquidi p.o a volontà;
  • Infondere soluzioni saline;
  • Valutare solo l’edema declive;

B)    CORRETTI E UTILI

  • Individuare il Peso Secco;
  • Non CATETERIZZARE IL PAZIENTE PER MISURARE LA DIURESI: ricordare la massima evangelica (ahimé, inascoltata) di non fare ad altri quello che non faresti a Te stesso;
  • Misurare la variazione giornaliera del peso: questa è la misura utile, non la diuresi;
  • Praticare restrizione idrica;
  • Praticare restrizione sodica;
  • Usare la clinica come guida alla terapia;
  • Palpare sempre il sacro, perché l’edema declive può ingannevolmente scomparire dagli arti per ridistribuirsi al sacro, la zona più declive nel paziente allettato.

 

BIBLIOGRAFIA

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4) Satta A, Faedda R, Chiandussi L, Bartoli E. Fluid and electrolytes in liver disease. Postgraduate Medical Journal 59/4: 64-72, 1983.

5) Bartoli E, Satta A, Faedda R, Olmeo NA, Soggia G, Branca GF. A Furosemide test in the functional evaluation of the human nephron in vivo. J Clinical Pharmacology 23: 56-64, 1983.

6) Faedda R, Satta A, Branca GF, Turrini F, Contu B, Bartoli E. Diuretics in post-ischemic Acute Renal failure. Renal Physiology 9/1-2: 106-107, 1986.

7) Bartoli E, Branca GF, Satta A, Faedda R. Sodium reabsorption by Henle loop in humans. Nephron 46: 288-300, 1987.

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18) Bartoli E, Sainaghi PP. Insufficienza renale funzionale e volume plasmatico efficace. I Master di “Medici Oggi”. 2005 Giugno/Luglio;5: 223-27.

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20) Bartoli E: Medicina Interna:  Metodologia, Semeiotica, Fisiopatologia, Clinica, Terapia Medica. RAHP Ed, 2010.

 

DIDASCALIA FIGURE

Figura 1: Omeostasi sodica. La figura riporta il volume plasmatico (VP) circolante suddiviso in due porzioni, rappresentate dai due rettangoli. L’una, il VP periferico, è quella contenuta in vasi diversi da quelli intratoracici; l’altra, il VPefficace (VPEff), è contenuta nei grossi vasi intratoracici e nelle camere cardiache. Dal volume centrale partono afferenze nervose parasimpatiche (le frecce tratteggiate) in grado di determinare in via riflessa una scarica adrenergica (o la sua inibizione) che aumenta le resistenze periferiche, tra cui quelle renali, costringe i vasi venosi, modificando il tempo di circolo ed il ritorno venoso al cuore, oltre al flusso plasmatico renale ed alla filtrazione glomerulare. Dal VPEff partono anche frecce continue che si dirigono verso il precarico cardiaco, riportato nell’ascissa del grafico in alto che contiene in ordinata la portata cardiaca. La curva volume-portata tracciata vuole rappresentare la curva di Starling, è arbitraria, e viene modificata dal post-carico cardiaco (le resistenze periferiche), come indicato dalla curva tratteggiata.

Il ridotto volume centrale evoca la secrezione di ADH, e, sia attraverso la attivazione adrenergica sia direttamente, attiva l’asse renina angiotensina-aldosterone (in basso). Il glomerulo filtra meno Na ed acqua per l’aumento delle resistenze renali, mentre esplica una maggiore avidità per il Na (angiotensina, aldosterone e altri fattori) e l’acqua (ADH), determinando ridotta escrezione di acqua e sali (oliguria), nonché ritenzione idroelettrolitica (accumulo di edema). Da Bartoli E, voce bibliografica N° 20, con permesso di Autore ed Editore.

 

Figura 2: Diuretici più comunemente usati in terapia. Sono indicati i diuretici, e relative formule di struttura, più comunemente impiegati, il loro sito tubulare di azione, il meccanismo di azione, l’entità del riassorbimento so­dico inibito al picco dell’effetto, espresso in percentuale del Na filtrato, nonché i principali effetti collaterali. Da Bartoli E, voce bibliografica N° 20, con permesso di Autore ed Editore.

 

Figura 3: Trasporto sodico da parte delle cellule del segmento spesso della branca ascendente dell’ansa di Henle. Il Na+ diffonde dal lume tubulare dell’ansa alla cellula mediante un sistema di diffusione facilitata che deve legare anche 2 Cle 1 K+ per “intrudere” il sodio (il cotrasportatore NKCC2, 1 Na-2 Cl-1 K+). Il legame del Na+ non avviene se non dopo che sia stato legato il Cl: questa tappa viene bloccata dal furosemide (anione “analogo”, per il recettore, al Cl), che, quindi, azzera la diffusione di sodio dal lume alla cellula. Normalmente il Na+ diffuso all’interno della cellula viene trasportato nell’interstizio dall’ATPasi presente sulla membrana basolaterale. Poichè l’accumulo di cariche positive sul versante capillare crea un potenziale elettrico che bloccherebbe l’ulteriore trasporto sodico, questo potenziale viene “shuntato” dalla diffusione di Cl attraverso canali specifici, cosicché, in effetti, viene trasportato il sale neutro NaCl, anche se tramite passaggio separato dei suoi componenti. Il cotrasportatore  1 Na-2 Cl-1 K+ deve legare e trasportare anche K+, che scomparirebbe dal lume se non venisse rialimentato dalla diffusione dalla cellula al lume attraverso un canale selettivo per il K+ detto ROMK da 70 pS (picoSimmens) e altri di minor conduttanza (35 pS). La figura indica anche i potenziali attraverso le membrane luminale e basolaterale. Da Bartoli E, voce bibliografica N° 20, con permesso di Autore ed Editore.

 

Figura 4. Canale epiteliale del Na (ENaC) lungo la membrana luminale dell’ultima porzione del DT e del tratto intracorticale del CD. Le frecce indicano i flussi di preurina e Na entro il nefrone, e di riassorbimento attraverso le sue pareti, mentre il loro spessore e lunghezza indica la intensità dei flussi, essendo proporzionale (grossolanamente) al loro valore quantitativo. Il ENaC viene rappresentato come un cilindro che attraversa perpendicolarmente la membrana luminale della cellula distale. Al suo interno vi sono cariche elettriche negative (non rappresentate per semplicità) che rendono selettivo il riassorbimento di solo Na+ dal lume alla cellula. Gli anioni di accompagnamento del Na+ rimasti nel lume vi generano un potenziale elettrico negativo che trascina la diffusione di un flusso elettrostatico di cationi dalla cellula (K+ e H+) “in scambio” con il Na+ riassorbito. Il H+ che diffonde nel lume origina dalla dissociazione dell’acido carbonico contenuto entro la cellula (H2CO3 che si dissocia in H+ e HCO3). A sua volta, l’acido carbonico deriva dalla CO2 che diffonde dal sangue alla cellula, dove si idrata ad acido carbonico (CO2 + H2O = H2CO3). Il bicarbonato (HCO3) “abbandonato” nella cellula dal suo catione (il H+) diffuso nel lume si “riaccasa” (oggi potremmo dire “si fidanza”) con il Na+ sopraggiunto: i due, uniti, “convolano”, trasportati dai sistemi di trasporto localizzati sulla membrana basolaterale della cellula, nel sangue, dove costituiscono bicarbonato di Na rigenerato ex-novo. Perciò, un elevato numero di ENaC (determinato dall’aldosterone) comporta elevato riassorbimento sodico e alcalosi ipocaliemica. Questo avviene in misura maggiore rispetto alla condizione normale (A in alto) quando sia stata innescata la ritenzione sodica, soprattutto in presenza di blocco del riassorbimento lungo HL determinato dal furosemide (B in basso): il Na+ non riassorbito si riversa nel DT dove un elevato numero di ENaC, indotto dall’aldosterone, lo riassorbe in misura maggiore, perdendo “in scambio”, un elevato numero di ioni K+ e H+. Questi ultimi comportano elevata rigenerazione di bicarbonato nel sangue e alcalosi metabolica (ipocaliemica perché il K risulta depleto). Nelle urine sono presenti ridotta concentrazione ed escrezione di Na+, aumentata concentrazione ed escrezione di ioni K+ e H+. Le frecce verticali indicano diminuzione, quando la punta sia rivolta in basso, o aumento, se rivolta in alto, oppure normalità se orizzontali, del parametro a fianco del quale vengano rappresentate.

 

Figura 5. Il canale epiteliale del Na (ENaC) viene sintetizzato dalla cellula dell’ultima porzione del DT e dal CD intracorticale per effetto di trascrizione del DNA determinata dall’aldosterone. I canali neoformati si “piazzano” sulla membrana luminale (o mucosa): ne viene rappresentato uno come un cilindro aperto e al lume tubulare, da cui entra il Na+, e al citoplasma, in cui il Na+ si riversa, per essere “estruso” (riassorbito) dalla Na-K-ATPasi presente lungo la membrana basocellulare (o capillare, o sierosa), della cellula. É il trasporto attivo operato dalla Na-K-ATPasi a ridurre fino quasi allo zero la concentrazione del Na+ nella cellula, consentendone così la diffusione dal lume per gradiente chimico anche quando la sua concentrazione luminale risulti quasi azzerata. Poiché il canale è selettivo per il solo Na+, lascia i suoi anioni di accompagnamento (HCO3, fosfati, Cl, etc) privi di bilanciamento elettrico: questo genera un potenziale elettrico negativo nel lume tubulare distale (e positivo nella cellula) che bloccherebbe l’ulteriore diffusione del Na+. Questo non avviene perché il potenziale viene in parte “shuntato” (cortocircuitato) dalla diffusione dalla cellula al lume del catione K+ e dalla secrezione nel lume del catione H+ operata da una idrogeno-ATPasi luminale.

 

Figura 6: Meccanismo della refrattarietà ai diuretici. Le frecce indicano i flussi di preurina e Na entro il nefrone, e di riassorbimento attraverso le sue pareti, mentre il loro spessore e lunghezza indica la intensità dei flussi, essendo proporzionale (grossolanamente) al loro valore quantitativo. Rispetto alla condizione indicata dal nefrone normale A (in alto), durante l’effetto del Furosemide (nefrone B al centro) il riassorbimento sodico lungo la branca ascendente dell’ansa di Henle è bloccato (freccia che si riflette “cozzando” contro la parete dell’HL). Perciò, un flusso di Na maggiore che di norma (freccia spessa nel DT) perfonde il tubulo distale (DT): le cellule riassorbono un normale quantitativo di Na (spessore delle frecce uguale a quello del tubulo normale in alto) lasciando defluire nelle urine un quantitativo elevato di Na ed H2O (diuresi e natriuresi). Se diuresi e natriuresi permanessero in eccesso e comportassero contrazione del VPeff e ritenzione sodica, si verificherebbe quanto illustrato nel nefrone C più in basso: il FG si ridurrebbe (le frecce verticali indicano diminuzione, quando la punta sia rivolta in basso, o aumento, se rivolta in alto, oppure normalità se orizzontali, del parametro a fianco del quale vengano rappresentate). Inoltre, il nefrone riassorbe più completamente nel tubulo prossimale, lasciando defluire lungo l’HL un flusso ridotto di preurina. Anche se il Furosemide blocca completamente il riassorbimento lungo l’HL, lascia defluire al DT un flusso di Na minore che in condizioni di non ritenzione sodica (nefrone B illustrato sopra): il forte aumento dei canali del Na ENaC del DT e CD riesce a riassorbire pressoché completamente il Na, perdendo “in scambio” (per neutralità elettrica) elevate quantità di K+ e H+. Nelle urine viene riversata poca acqua (flusso V ridotto), contenente poco Na (UNa ridotto), molti ioni potassio e idrogeno (UK+ e UH+ elevati).  Nonostante la somministrazione del diuretico, sembra che il tubulo sia refrattario alla sua azione, quando, in effetti, la annulla riassorbendo “a valle” tutto quello che il diuretico abbia inibito “a monte”.

In questo caso, l’aggiunta di diuretici attivi sul sito aldo-sensibile (aldosterone, amiloride) sbloccherebbe la diuresi inibendo l’aumento compensatorio del riassorbimento sodico che si verifica lungo il segmento tubulare che costituisce il loro sito di azione, il segmento aldo-sensibile del DT. Tuttavia, forzare in questo modo la diuresi in condizioni di stimolazione del risparmio sodico potrebbe contrarre ulteriormente il VPeff e precipitare IRA.  In condizioni estreme di riduzione del FG, anche la aggiunta di questi diuretici può risultare inefficace.

 

Ettore Bartoli, Luca Rossi, Daniele  Sola, Pier Paolo Sainaghi, Carlo Smirne

Università del Piemonte Orientale, Medicina Interna, Novara, Italy

Corrispondenza con:

ettore.bartoli@hotmail.it

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