La Depressione Geriatrica

Dott. A.M.Cotroneo

Provenzano G.1, Provenzano S.2, Sgarito C.3, Gucciardino L.3, Sapone P4, A. M. Cotroneo5

1 Coordinatore Modulo Alzheimer della Residenza Sanitaria Assistita R.S.A di Casteltermini (Agrigento), Direttore Medico Responsabile del Centro terapeutico Riabilitativo (C.T.R.) di Licata (Agrigento)

2 Dirigente medico U.O. Medicina Interna, Presidio Ospedaliero Azienda USL Parma, Sede di Fidenza.

3 Dirigente medico U.O.C. Malattie Degenerative ed Involutive, Presidio Ospedaliero Azienda USL Agrigento.

4 Geriatra – SC Geriatria OMV ASL Città di Torino.

5 Direttore SC Geriatria OMV – Dip. Continuità Assistenziale Ospedale – Territorio ASL Città di Torino. Coordinatore Area RSA e Strutture Residenziali DIRMEI – Reg. Piemonte

Tra i disturbi affettivi presenti in età geriatrica, la depressione costituisce il disturbo psichiatrico più comune. Il 20-25% delle persone al di sopra dei sessantacinque anni è affetta da depressione. La prevalenza dei sintomi depressivi varia dall’8 al 15% fra gli anziani in comunità ed è di circa il 30% fra gli anziani istituzionalizzati. Nonostante la nota prevalenza della sindrome, la diagnosi è complessa pertanto spesso sottostimata, spesso i sintomi depressivi sono associati al fisiologico processo di invecchiamento e confusi con il normale assetto psicologico dell’età avanzata, con sintomi psicosomatici atipici o con una demenza. Se la depressione sia un fattore di rischio per la demenza o ne rappresenti una fase clinica prodromica è una problematica ancora non risolta e spesso difficile da affrontare 1, 2. Grazie alla valutazione multidimensionale effettuata dai professionisti sull’anziano, la sensibilità verso la depressione in età geriatrica nella pratica clinica quotidiana sta aumentando e sempre più spesso la depressine viene considerata come una patologia e non come l’inevitabile compagna dell’invecchiamento.

La sofferenza fisica e mentale dell’anziano si inscrive in una condizione esistenziale complessa nella quale l’oscillazione dinamica tra perdite e restituzioni, crisi depressive e nuovi adattamenti segna l’intera vita nel suo svolgersi ed acquista una risonanza più acuta e profonda.

La depressione è una malattia medica comune e grave che influisce negativamente su come ti senti, su come pensi e agisci. Causa sentimenti di tristezza e/o perdita di interesse per le attività una volta godute e comporta una varietà di problemi emotivi e fisici, diminuendo la capacità della persona di funzionare nel lavoro e a casa.

Nell’anziano il problema della depressione è rilevante e la Psicogeriatria, nata come un nuovo approccio per analizzare i disturbi dell’anziano, si occupa proprio della depressione e di tutte le patologie psichiatriche dell’invecchiamento, come ansia e turbe del sonno, oltre alle difficoltà di adattamento e ai disturbi cognitivi derivanti dall’età che avanza. Essa si avvale della Valutazione Multidimensionale, che rappresenta forse uno dei più riusciti esempi di ‘soluzioni’che, nel coniugare la ricerca dell’appropriatezza clinica con quella dell’appropriatezza organizzativa, sanciscono l’irrinunciabilità di un approccio globale al paziente complesso, in vista di una personalizzazione dell’intervento. La Valutazione Multidimensionale prende in considerazione tanti aspetti fondamentali, come le comorbilità (la coesistenza di più patologie nello stesso individuo comporta poi la non infrequente compresenza di un insieme di sintomi somatici, psichici e comportamentali e complica sensibilmente sia il processo diagnostico che il trattamento terapeutico), le condizioni socio-ambientali, la polifarmacoterapia, l’invecchiamento con pianificazione ed utilizzo delle risorse, la valutazione delle funzioni cognitive, lo stato funzionale, i sintomi psichici, la problematica somatica, lo stress del caregiver, il network sociale, lo status socio-economico.

La definizione dei limiti fra normalità e patologia di una condizione depressiva ai fini di un intervento terapeutico, apre innanzitutto il problema dell’inquadramento clinico.

Il problema diagnostico e terapeutico della depressione è complicato dall’uso molteplice che viene fatto dal termine stesso e dai molti aggettivi utilizzati per descriverla (sintomo, sindrome, particolare modello di malattia). Attualmente il termine depressione è diventato estremamente confuso, a dispetto della sua illusoria chiarezza e semplicità. Questa confusione semantica crea problemi di comunicazione fra psichiatri di diversa estrazione culturale e difficoltà di comunicazione e di riproducibilità dei risultati provenienti dalla ricerca scientifica. E’infatti un’esperienza comune il dolore causato da un avvenimento avverso o dall’accorgersi della discrepanza tra la vita com’è e come potrebbe essere; meno comune, ma abbastanza frequente come problema psichiatrico, il dolore che non si attenua con il passare del tempo, che sembra esagerato in rapporto al presunto evento scatenante, o inappropriato o non collegato ad alcuna causa evidente. Ebbene, quando si parla di depressione si ha spesso in mente la prima condizione, meglio definibile come demoralizzazione o tristezza; invece gli psichiatri si interessano di una condizione patologica cui va incontro nell’arco della sua vita, tra il 7 ed il 15% degli uomini e tra il 13 ed il 28% delle donne.

Si tratta di una condizione frequente, ma non ubiquitaria, l’unica che può rispondere al trattamento con farmaci antidepressivi. L’infelicità, che è parte integrante dell’esistenza umana, è tutt’altra condizione di sofferenza non correlabile ad una cura farmacologica.

Per classificare le diverse tipologie di depressione si fa riferimento alla classificazione data dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali quinta edizione (DSM–V) e per porre diagnosi di depressione maggiore è necessario avere almeno uno dei due sintomi primari: tristezza persistente o cattivo umore quasi quotidianamente e/o perdita di interesse e di piacere nella maggior parte delle attività.

Sono inoltre necessari almeno cinque dei seguenti sintomi che devono presentarsi in maniera persistente per almeno due settimane e causare un livello di sofferenza significativo: disturbi dell’appetito, disturbi del sonno, agitazione o rallentamento, facile faticabilità, senso di colpa eccessivo o inappropriato, auto-svalutazione, incapacità di prendere decisioni, pensieri di morte ricorrenti, perdita di concentrazione e memoria (diagnosi differenziale con la demenza).

La depressione nel paziente anziano è una condizione un po’diversa, estremamente comune, associata a un’alta morbilità e mortalità, con una sintomatologia spesso atipica, spesso sottostimata e trattata in modo inadeguato.

In particolare la depressione nell’anziano si associa con: elevato rischio di cronicità, elevato tasso di recidive (circa il 40% dei casi), compromissione cognitiva, elevata incidenza di deliri e tassi di suicidio, prognosi peggiore delle malattie in comorbidità, aumento della mortalità secondaria a concomitanti malattie fisiche, aumento dei costi dell’assistenza sanitaria. I motivi sono molteplici: la maggiore vulnerabilità biologica, le politerapie con maggiore possibilità di interazione farmacologica, la minore tollerabilità verso gli eventuali effetti collaterali dei farmaci e le modificazioni fisiopatologiche di costanti biochimici che incidono sulla loro farmacodinamica e sulla farmacocinetica; inoltre sono propri dell’invecchiamento fenomeni come una ridotta funzionalità epatica e renale e diminuzione delle proteine plasmatiche che incidono sulla performance farmacologica.

Possiamo considerare due tipologie di fattori di rischio per la depressione nell’anziano.

I fattori di rischio predisponenti e i fattori di rischio precipitanti.

I primi includono il sesso femminile, lo stato di vedovo o divorziato, la presenza di stati depressivi precedenti, i problemi vascolari, l’eccessivo consumo di alcol, lo svantaggio sociale e lo scarso sostegno sociale, il tipo di personalità (ad es. problemi di relazione o dipendenza), le malattie invalidanti (fisiche e croniche), la polifarmacoterapia.

Tante le condizioni mediche che possono predisporre alla depressione negli anziani. In particolare ricordiamo: Morbo di Parkinson, Demenza e Morbo di Alzheimer, Ictus, Cardiopatia, Cancro, Diabete, Disturbi tiroidei, Carenza di vitamina B12, Lupus, Sclerosi multipla. Tanti anche i farmaci che possono causare la depressione, come beta bloccanti, statine, ansiolitici, calcio antagonisti, farmaci per il Morbo di Parkinson, inibitori della pompa protonica, farmaci contenenti reserpina, steroidi (es. cortisone e prednisone), antidolorifici, estrogeni e i farmaci anticolinergici.

In particolare una recente metanalisi ha esaminato 20 studi caso-controllo ove si evince che il rischio di depressione è doppio (OR 2.0) nei pazienti con diabete rispetto al gruppo di controllo 3. Nei pazienti ricoverati per coronaropatie acute ed in quelli con recente infarto del miocardio la prevalenza di depressione è tra il 15% ed il 23%. Un’altra metanalisi mostra che tra i pazienti con infezione da HIV la prevalenza della depressione varia tra il 4% ed il 23% ed il rischio è doppio rispetto ai controlli 4. Inoltre prevalenze elevate di sindrome depressiva si trovano in pazienti con stroke, morbo di Parkinson e sclerosi multipla 5,6.

I fattori di rischio precipitanti includono un lutto recente, gli spostamenti dalla propria abitazione ad un altro luogo (ad es. casa di cura), eventi avversi della vita (ad es. perdita, separazione, crisi finanziaria), lo stress cronico causato da problemi di salute, familiari o coniugali in declino, l’isolamento sociale, le difficoltà persistenti nel sonno.

Ricordiamoci che la depressione dell’invecchiamento non è una risposta normale alla vecchiaia.

Nel 40% dei casi la depressione in persone in terza età non è diagnosticata perché la sintomatologia viene attribuita all’invecchiamento; nel 60% dei pazienti anziani che soffrono di depressione invece la sintomatologia è atipica, caratterizzata per es. da lamentele somatiche e disturbi cognitivi, pertanto anche in questo caso non diagnosticata. Alcuni pazienti enfatizzano i sintomi somatici, piuttosto che riferire sentimenti di tristezza, privilegiando il linguaggio del corpo piuttosto che l’esprimere sentimenti di malinconia, frustrazione e abbattimento. Molti riferiscono facile irritabilità (ad esempio, rabbia persistente, tendenza a rispondere con scoppi d’ira o incolpare gli altri, esagerato senso di frustrazione per questioni minori). Consideriamo che la coesistenza della patologia somatica, complica anche la gestione clinica e terapeutica della depressione.

Alcuni dei più comuni sintomi somatici con cui si può manifestare una condizione depressiva sono le algie svariate (cefalea cronica, nevralgie parestesie, dolori muscolari), i disturbi gastrointestinali (dolori addominali, dispepsia, stipsi o diarrea, inappetenza), disturbi cardiaci (pseudo-angina, tachicardia), disturbi respiratori (dispnea, sensazione di soffocamento), disturbi del sonno (insonnia, alterazione del ritmo sonno-veglia), astenia, disturbi genitourinari, problemi di funzionamento o mancanza di desiderio sessuale.

Soprattutto negli anziani la diagnosi può essere difficile anche perché i sintomi possono verificarsi in molti casi, indipendentemente dalla depressione. Occorre quindi, tenere presente con attenzione la possibilità di altre malattie che possono presentare un quadro clinico simile alla depressione e che vanno accuratamente escluse sulla base dei segni distintivi differenziali. Sono molte le patologie che mimano una depressione.

La diagnosi differenziale della depressione rappresenta un passaggio importante nello studio del malato poiché la presenza dei disturbi dell’umore, della stanchezza, tristezza, insicurezza e rassegnazione sono comuni a molti altri disturbi mentali o di ordine medico generale, come le malattie del sistema nervoso centrale (es. demenza), i disturbi endocrini (es. tiroidei), le condizioni correlate a farmaci, le malattie infettive e infiammatorie, i disturbi del sonno, le neoplasie, diabete mellito, l anemia, il lutto, i disturbi d’ansia e di personalità.

L’apatia (senza emozione), per esempio, condivide con la depressione la perdita di interesse, di energia, di insight ed un generico rallentamento psicomotorio, ma si distingue per la presenza specifica di indifferenza, ridotta motivazione e iniziativa e per l’assenza di altri sintomi tipici di un quadro depressivo come senso di impotenza, inutilità e mancanza di speranza. Queste puntualizzazioni sono importanti per evitare interventi terapeutici poco efficaci, se non proprio errati, supportati da diagnosi incerte che confondono quadri apatici con quadri depressivi. Ad esempio, alla luce del fatto che depressione ed apatia sono associati a patterns neurali differenti (la depressione prevalentemente a circuiti serotoninergici, l’apatia a circuiti dopaminergici), da un punto di vista farmacologico gli antidepressivi serotoninergici migliorano il tono dell’umore ma possono peggiorare l’apatia, mentre farmaci dopaminergici hanno buoni effetti sui sintomi apatici. Se l’apatia condivide con la depressione la perdita di interesse, di energia, di insight ed un generico rallentamento psicomotorio, se ne distingue per la presenza specifica di indifferenza, ridotta motivazione e iniziativa e per l’assenza di altri sintomi tipici di un quadro depressivo come senso di impotenza, inutilità e mancanza di speranza.

Di rilevante interesse e importanza è il coinvolgimento della sfera cognitiva che si ha nel disturbo depressivo, rappresentando parte integrante del suo quadro clinico.

I quadri di deficit cognitivo secondario alla presenza di un disturbo depressivo, sono indicati come “pseudodemenze depressive”. Queste forme evidenziano un tono dell’umore orientato in senso depressivo, con compromissione della memoria a breve e a lungo termine, con difficoltà di concentrazione e facile distraibilità. I pazienti si lamentano in genere della loro perdita di memoria o di altri deficit cognitivi. I parenti sono in grado di indicare con sufficiente precisione l’inizio del deficit mnesico. Confabulazioni, agnosia, afasia sono invariabilmente assenti, cosippure le alterazioni dell’orientamento.

I sintomi cognitivi riportati dai pazienti affetti da malattia depressiva, inficiano la quantità e la qualità delle relazioni sociali, influendo negativamente in modo disadattativo sulla vita sociale e lavorativa, nonché sulla gestione delle proprie risorse. I deficit cognitivi possono persistere, indipendentemente dal miglioramento della depressione, anche durante gli stati eutimici/di remissione e sembra possano essere un fattore di rischio per una ricaduta o un nuovo episodio depressivo. Vi è, infatti, la necessità di una terapia antidepressiva che non solo sia efficace sulle alterazioni dell’umore, ma che agisca anche sui sintomi cognitivi e sulle conseguenti compromissioni.

Nell’anziano, le problematiche depressive e l’impairment cognitivo (soprattutto nel caso dell’Alzheimer), sono riconducibili ad un unico fenomeno degenerativo che riduce la plasticità neuronale e la neurogenesi nella zona dell’ippocampo. Per quanto riguarda la correlazione tra depressione e demenza, l’atrofia corticale e l’allargamento dei ventricoli sono di quasi universale riscontro nella demenza e con una minore frequenza anche nella depressione. La depressione ad esordio tardivo sembra presentare una maggiore atrofia e un maggiore ampliamento ventricolare rispetto alla depressione ad esordio precoce, suggerendo che quella ad esordio tardivo possa avere un’associazione più stretta con la demenza.

Molti studi evidenziano nella forma di depressione ad esordio tardivo anche la presenza di lesioni e ipodensità diffusa della sostanza bianca (oltre all’ampliamento dei solchi corticali più gravi e una maggior compromissione delle funzioni cognitive rispetto ai soggetti con depressione ad esordio precoce), costituendo una probabile manifestazione prodromica di demenza, presumibilmente di tipo vascolare.

(per es. nella demenza DA reperto di ipoperfusione delle aree temporo-parietali in uno od entrambi gli emisferi alla PET; nella FTD è risultato tipico il reperto di ipoperfusione delle strutture frontali e temporali).

Pertanto in genere la depressione “late onset” è sottodiagnosticata e sottotrattata, portando con sé un elevato rischio di suicidio e recidive. Non esistono valutazioni psicometriche (testali) specifiche ed affidabili e comunque l’utilizzo di scale di valutazione è reso problematico dal suddetto impairment cognitivo del paziente che può non capire le domande, siano esse auto od etero-somministrate, e può non ricordare gli eventi che si riferiscono all’intervallo di tempo prescelto per la valutazione 7, 8, 9.

Il confine tra depressione e demenza è spesso incerto. Sebbene la relazione tra demenza e depressione sia stata oggetto di ricerche nel campo della psichiatria geriatrica negli ultimi decenni, le considerazioni cliniche sono in continua evoluzione. Nonostante le ricerche siano attive riguardo la patogenesi sia della depressione che della demenza e sulla possibilità di una eziopatogenesi comune, rimane comunque difficile formulare rapidamente una diagnosi sulle base dei sintomi.

Nel disturbo depressivo i pazienti di solito si lamentano molto e in modo dettagliato della perdita delle funzioni cognitive. Pongono l’accento sulla loro disabilità, sottolineano gli errori, si impegnano poco a eseguire compiti anche semplici. I pazienti solitamente comunicano un forte senso di disagio e accusano una perdita di capacità sociali spesso precoce e importante. Il loro comportamento spesso è incongruente con una grave alterazione cognitiva. È Infrequente l’accentuazione dei disturbi durante la notte
Nel deterioramento cognitivo invece, i pazienti di solito si lamentano poco e in modo vago della perdita delle funzioni cognitive. Tendono a nascondere la loro disabilità, gioiscono dei loro successi per quanto banali, si impegnano molto a eseguire compiti anche semplici e si servono di note, calendari, ecc. per comportarsi adeguatamente. I pazienti spesso non sembrano preoccupati. La loro affettività è labile e superficiale e le capacità sociali spesso conservate. Il loro comportamento solitamente è compatibile con una grave alterazione cognitiva, frequente è l’accentuazione dei disturbi durante la notte.

Anche i deliri hanno caratteristiche differenti nelle due sindromi. Nella depressione sono caratteristici il delirio di rovina, di ipocondria, di colpa, di negazione. I deliri nella demenza sono invece poco strutturati, generalmente traggono spunto da uno stimolo esterno. Si tratta di deliri di nocumento, di abbandono, di latrocinio, di persecuzione. Tipica nella demenza è la Sindrome di Capgras (convinzione che una persona familiare sia stata rimpiazzata da una copia esatta), la Sindrome di Fregoli (falso riconoscimento di soggetti familiari in persone che invece sono estranee), il delirio d’intermetamorfosi (convinzione che persone note si tramutano fisicamente e psicologicamente in altri soggetti) e il delirio di “sosia soggettivo” (l’idea che un proprio sosia agisca in modo indipendente da sé).

La depressione e la demenza costituiscono le sindromi psichiatriche più frequenti nella popolazione anziana. I disturbi depressivi sono stati associati alla malattia di Alzheimer (AD), ma il loro ruolo come possibile sintomo predittivo, fattore di rischio o reattivo non è ancora stato completamente studiato.

I Pazienti affetti da AD depressi, manifestano un umore maggiormente disforico piuttosto che depresso, mostrano maggiore autocommiserazione, sensibilità al rifiuto, anedonia e meno segni neurovegetativi rispetto ai pazienti anziani depressi non dementi. Inoltre, in fase avanzata questi pazienti tendono a presentare spesso disorganizzazione, aggressività e deliri. Importante è anche la quota di irrequietezza motoria fino all’agitazione. È stato osservato che pazienti con demenza e depressione tendono a presentare una maggiore compromissione nelle attività quotidiane, come alimentarsi, vestirsi e lavarsi, rispetto a pazienti dementi non affetti da depressione.

I sintomi depressivi sembrano più frequenti tra pazienti nella fase iniziale od intermedia della demenza. Per capire quali siano gli indicatori più affidabili di depressione in corso di demenza è comunque importante inquadrare la gravità del deterioramento e lo stadio della demenza, in quanto nelle fasi più iniziali la presentazione può non differire molto da quanto si osserva nei pazienti anziani depressi non affetti da demenza. È negli stadi più avanzati che il quadro clinico si connota diversamente, con la già citata prevalenza dei sintomi psicomotori fino alla disorganizzazione comportamentale10.

E’stato ipotizzato che la depressione maggiore si accompagni a un’alterazione dell’immunità innata e cellulo-mediata 11. In particolare questa condizione psichiatrica sembra essere associata a un incremento delle concentrazioni plasmatiche delle proteine di “fase acuta” e a un’aumentata produzione di citochine. Negli studi in tal senso, i livelli periferici di IL-6 sono rimasti significativamente più alti negli anziani con depressione. Il coinvolgimento dell’IL-6 periferico negli anziani con depressione riflette un’elevata percentuale di comorbidità metaboliche modificabili. Sono necessari ulteriori studi per valutare l’associazione tra alti livelli periferici di IL-6 e il conseguente rischio di sviluppare depressione in età avanzata.

Anziani con depressione avevano livelli periferici elevati di IL-1β ed IL-6 ma non CRP e TNF-α, gli anziani con malattia di Alzheimer avevano solo livelli periferici aumentati di IL-1β nel sangue 12,13.

Queste osservazioni pongono le basi per ampliare la conoscenza del disturbo depressivo che, da questa prospettiva, può essere considerato come un disordine psiconeuroimmunologico, in cui l’attivazione immune periferica, attraverso il rilascio di citochine proinfiammatorie, potrebbe contribuire a realizzare quelle alterazioni comportamentali e neuroendocrine associate con questa condizione psichiatrica. A tal proposito è stata formulata da Maes nel 1995 una “ipotesi citochinica” della depressione 14, 15.

Lo studio del rapporto tra manifestazioni depressive e malattia di Alzheimer (AD)è da alcuni anni uno dei temi più controversi nella letteratura scientifica12. Se da un lato è stata individuata un’associazione tra depressione e AD, dall’altro la natura di questa relazione e il suo valore prognostico rimangono tuttora non ben definite 16,17,18.

Una delle questioni su cui ruota l’interesse della ricerca scientifica è quella volta a comprendere se i fenomeni depressivi precedano la comparsa del quadro neurologico dell’AD (una specie di “campanello d’allarme” dell’inizio della malattia) o se siano invece soltanto una manifestazione comportamentale di questa condizione, oppure se siano in comorbilità con l’AD contribuendo al declino delle funzioni cognitive aggravando la demenza. Infine, un’altra ipotesi è quella se il fallimento in alcune funzioni cognitive (come l’attenzione e la memoria) nelle fasi iniziali dell’AD possa determinare una manifestazione depressiva come reazione 19, 20.

Il punto di partenza privilegiato per lo studio delle sindromi miste cognitive e depressive deriva dall’aumento di strumenti e di approcci utili per l’identificazione precoce del morbo di Alzheimer e delle altre forme di demenze correlate. Molto controversi sono gli studi, allo stato attuale, che mettono in correlazione sintomi e sindromi affettive e cognitive nelle persone anziane. Gli studi in proposito tendono a riconoscere e ad individuare la distinzione tra la compromissione cognitiva non progressiva associata alla depressione “late onset” e le manifestazioni depressive delle demenze neurodegenerative progressive 21, 22.

Le principali scale presenti in letteratura per l’identificazione di depressione nella popolazione geriatrica italiana sono: Geriatric Depression Scales (GDS), Montgomery Asberg Depression Rating Scale (MADRS), Hamilton Depression Scale (HDS).

Attualmente le cure più efficaci per il disturbo depressivo sono il trattamento farmacologico (Efficacia, Tollerabilità, Sicurezza, Potenziali interazioni farmacologiche), abbinato alla Psicoterapia (Individuale, Cognitiva, Familiare, Educazionale).

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Antonino Cotroneo

Geriatra – SC Geriatria OMV ASL Città di Torino

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