Cuore e cervello: un dialogo a più voci. La visione del farmacologo

Stefano Govoni e Annalisa Barbieri
Dipartimento di Scienze del Farmaco, Università degli studi di Pavia

Prof. Govoni
Prof.ssa Barbieri

Introduzione

Le malattie cardiovascolari rappresentano ad oggi la principale causa di morte e disabilità nei paesi occidentali. Diversi per formulazione e meccanismo d’azione sono i farmaci cardiovascolari impiegati, così come differenti sono gli effetti collaterali, che variano a seconda del dosaggio e della tipologia di farmaco assunta. Tra i disturbi più frequenti si collocano quelli di natura gastrointestinale, muscolo-scheletrica metabolica, dermatologica e, non ultimi, quelli a livello del sistema nervoso centrale; in questo ambito, sono di particolare interesse gli effetti psichiatrici dei farmaci cardiovascolari.

È nota un’influenza bidirezionale cuore-cervello, complicazioni cardiovascolari possono verificarsi a causa di malattie mentali così come disturbi comportamentali possono essere una conseguenza di patologie cardiache. L’intima connessione tra il cervello e il cuore è stata riconosciuta già da Claude Bernard oltre 150 anni fa [1].

In estrema sintesi vie corticali-sottocorticali che rispondono a una serie di stimoli di natura varia e ricevono informazioni dalla periferia possono controllare in cascata il flusso di attività a livello telencencefalico e del tronco cerebrale dei neuroni pregangliari autonomi e, alla fine, delle fibre efferenti dal midollo spinale. Il sistema così disegnato è sensibile a informazioni di ogni natura, da quelle di tipo emotivo ai controlli più localizzati e specializzati come quelli dei barocettori sullo stato di funzionamento cardiovascolare. Così una forte emozione (anche solo visiva) può scatenare alterazioni cardiovascolari drammatiche e queste possono poi essere autolimitate dai segnali periferici verso i centri encefalici. Da notare che, stante questo complesso disegno, alterazioni dei circuiti corticali-sottocorticali possono riflettersi in alterazioni, ad esempio, del ritmo. Alcune aree cerebrali, come l’insula sembrano avere un ruolo importante in queste situazioni. A livello di neurotrasmettitori non sono coinvolti solo i trasmettitori più noti come noradrenalina e acetilcolina, ma anche altri come serotonina, GABA, glutammato e peptidergici che giocano un ruolo in questo vorticoso scambio bidirezionale di informazioni tra aree diverse del cervello e cuore [2].

Il controllo neurale centrale nella regolazione del sistema nervoso autonomo del cuore assume un ruolo importante alla luce dei progressi nelle tecniche investigative. Esistono prove sostanziali per un ruolo dei centri superiori nel controllo neuro-cardiaco. Lo stress mentale e le forti emozioni sono state a lungo associate a morte cardiaca improvvisa. Il ruolo dei centri cerebrali superiori nella determinazione del comportamento miocardico è stato chiarito attraverso l’utilizzo di tecniche optogenetiche in grado di modulare l’attività in specifici nuclei del tronco cerebrale, consentendo la dissezione di specifici input vagali colinergici e simpatici sull’elettrofisiologia cardiaca e sull’aritmogenesi [3].

In letteratura sono presenti studi che evidenziano come pazienti con patologie neurologiche, psichiatriche o cardiovascolari sono a maggior rischio di aritmia cardiaca e morte improvvisa [4]. In molti casi, lo stress può far precipitare l’aritmia cardiaca attraverso risposte del sistema nervoso autonomo che partono dal SNC. In particolare era stata osservata una relazione positiva tra asimmetria laterale destra nell’attività del mesencefalo e anomalie proaritmiche della ripolarizzazione cardiaca durante lo stress; tale associazione fornisce un marcato supporto empirico a un meccanismo supposto per la morte improvvisa. Tale evidenza è stata recentemente confermata anche da altri studi che sottolineano come il cervello svolga un ruolo significativo nella genesi delle aritmie ventricolari e nella morte cardiaca improvvisa [5]. Il meccanismo sotteso coinvolge il sistema nervoso autonomo, l’elaborazione neurale centrale può modulare l’elettrofisiologia del miocardio, dando esito a effetti asimmetrici nel cuore, generando eterogeneità di ripolarizzazione che può essere considerata il substrato dell’aritmia [5].

Le intime connessioni tra vie nervose centrali e cuore sono importanti da considerare anche alla luce delle innovative tecniche di stimolazione cerebrale come la DBS (deep brain stimulation). Tale tecnica, generalmente applicata a pazienti con depressione resistente ai farmaci, disturbi ossessivo-compulsivi, epilessia grave, emicrania e dolore cronico, è stata valutata in pazienti in cui era nota la disfunzione autonomica cardiovascolare per stimarne gli effetti a livello cardiaco. Anche la stimolazione del nervo vago (VNS) ha mostrato benefici clinici in pazienti con epilessia e depressione farmacoresistenti. Altre tecniche neuromodulatorie non invasive per la stimolazione cerebrale come la stimolazione magnetica transcranica ripetitiva (rTMS) e la stimolazione transcranica a corrente continua (TDC) sono sempre più studiate per il loro potenziale terapeutico in diversi disturbi neurologici e psichiatrici. Verificato che DBS, VNS, rTMS e tDCS possono avere un impatto sulla funzione dei centri del tronco encefalico che controllano le funzioni cardiovascolari, una crescente attenzione è posta sugli effetti acuti e a lungo termine di tali tecniche sull’attività simpatica di controllo della funzione cardiaca e della pressione sanguigna [6].

Nel contesto sopra delineato assumono importanza due aspetti di rilievo per la farmacoterapia: gli effetti cardiovascolari dei farmaci psichiatrici e gli effetti psichiatrici dei farmaci cardiovascolari, di questi due aspetti il primo è più frequentemente considerato e in questo articolo verrà solo sommariamente presentato, più spazio sarà dedicato a secondo aspet, meno frequentemente trattato.

Cenni sugli effetti cardiovascolari dei farmaci psichiatrici

Gli agenti psichiatrici sono farmaci comunemente prescritti e spesso i pazienti trattati presentano diversi effetti collaterali cardiovascolari (Tabella 1, modificata da [5]). In particolare destano preoccupazione gli effetti proaritmici derivanti dalla sindrome del QT lungo e le conseguenti aritmie ventricolari potenzialmente letali, la sindrome metabolica che contribuisce all’aterosclerosi, le sindromi coronariche acute e l’ipotensione ortostatica. D’altro canto non si possono privare i pazienti psichiatrici di un’adeguata terapia farmacologica per via del timore dei potenziali effetti avversi della terapia. Al fine di meglio gestire le complicanze assume fondamentale importanza la modifica dei fattori di rischio, la gestione ottimale delle diverse patologie cardiache e l’appropriata selezione di agenti psicotropi con maggiore efficacia sulla componente psichiatrica e minima tossicità cardiovascolare, nonché l’identificazione dei pazienti ad alto rischio di complicanze cardiovascolari [7]. Inoltre, in base alle comorbilità presenti nel singolo paziente è possibile effettuare le scelte terapeutiche più opportune secondo le linee guida pubblicate. Alcuni esempi illustrano il punto; per quanto riguarda gli antidepressivi, le linee guida raccomandano di evitare gli antidepressivi triciclici nei pazienti con aritmie, instabilità cardiaca o ischemia; la pressione sanguigna dei pazienti ipertesi va monitorata durante il trattamento con inibitori della ricaptazione della serotonina e noradrenalina (SNRI) e si deve somministrare la dose più bassa possibile e aggiungere antiipertensivi se necessario; quando un paziente è in trattamento con gli inibitori delle MAO (sempre meno usati, soprattutto le molecole meno recenti ad azione irreversibile), serve prestare attenzione ad eventuali crisi ipertensive e, se l’ipertensione è grave, in emergenza somministrare antiipertensivi (ad es. labetalolo e nitroprussiato di sodio) per via endovenosa; ancora, se si presenta ipercolesterolemia durante l’assunzione dell’antidepressivo mirtazapina sarà necessario aggiungere una statina; per l’ipotensione posturale dovuta a diversi antidepressivi si possono prendere misure aggiungendo fludrocortisone e/o sale alla dieta.

Cenni sugli effetti psichiatrici dei farmaci cardiovascolari

Come abbiamo descritto, generalmente la letteratura è focalizzata sugli effetti cardiovascolari dei farmaci psicotropi, in particolare l’attenzione è rivolta agli effetti avversi sul tratto QT di numerosi farmaci ampiamente utilizzati [8], che comunque non rappresentano necessariamente il rischio cardiovascolare clinicamente più rilevante associato ai farmaci attivi sul SNC. Semplicemente, gli effetti QT sono facili da prevedere, prevenire e rilevare. Meno frequenti sono le preoccupazioni sul fronte opposto, cioè gli effetti collaterali psichiatrici dei farmaci cardiovascolari che invece possono essere più sottili e difficili da rilevare.

Al tal riguardo due sono gli aspetti emergenti e distinti da considerare, la possibilità che si tratti di un effetto avverso indesiderato e quello invece che sia sfruttabile ai fini terapeutici (vedi paragrafi successivi) [9]. Esempio di effetto avverso indesiderato è la depressione associata a alcuni farmaci antiipertensivi. Tali effetti sono più frequenti con le molecole che agiscono sulla trasmissione adrenergica, possono essere previsti ed evitati utilizzando un farmaco appropriato. Inoltre, come già sottolineato, le malattie cardiovascolari e i disturbi psichiatrici e sono spesso strettamente connessi, non infrequenti si evidenziano sintomi psichiatrici dovuti ad eventi cardiovascolari, come ad esempio l’ansia associata alla fibrillazione atriale. Anche in questo caso la condizione patologica può essere corretta mediante l’uso combinato del farmaco cardiovascolare più appropriato e del principio attivo psichiatrico, dopo una attenta valutazione dello stato di salute generale del paziente. D’altro canto ci sono alcune condizioni psichiatriche che possono trarre vantaggio da farmacicardiovascolari a tal scopo appositamente somministrati per il controllo dei sintomi psichiatrici, come ad esempio il controverso impiego dei farmaci beta-bloccanti nel disturbo post-traumatico da stress. Tali effetti non devono sorprendere poiché molti dei farmaci cardiovascolari riconoscono target presenti sia a livello dell’apparato cardiovascolare sia nel cervello dal momento che diversi composti possono attraversare la barriera emato-encefalica e raggiungere il sistema nervoso centrale (SNC).

Infine, va sottolineato che diverse terapie cardiovascolari sono croniche, sono somministrate pertutta la vita, e quindi risulta importante considerare e comprendere l’intero spettro delle attività farmacologiche dei principi attivi senza dimenticare che, con l’invecchiamento del paziente, la sensibilità della terapia agli effetti sul SNC può cambiare.

In linea generale una panoramica degli effetti collaterali psichiatrici dei farmaci cardiovascolari dovrebbe:

  • riconoscere i vari meccanismi attraverso cui un farmaco, o una patologia, cardiovascolare può influenzare le condizioni psichiche;
  • prendere in considerazione anche la condizione inversa, cioè sottolineare i meccanismi con cui un farmaco psicotropo può influenzare la funzione cardiovascolare;
  • considerare attentamente le potenziali interazioni tra farmaci cardiovascolari e psicotropi, a livello sia di farmacocinetica sia di farmacodinamica, senza dimenticare la farmacogenetica;
  • cercare di comprendere se il profilo degli effetti collaterali dei farmaci cardiovascolari ha le stesse caratteristiche in pazienti psichiatrici o neurologici o in pazienti affetti da altro tipo di patologie;
  • riconoscere quanto importante risulti valutare le conseguenze psichiatriche delle malattie cardiovascolari e del loro trattamento farmacologico.

La complessa relazione tra malattie cardiovascolari, trattamento farmacologico e stato mentale è ben rappresentata da diverse situazioni cliniche. Ad esempio, pazienti in cui la fibrillazione atriale e l’ansia coesistono, possono beneficiare maggiormente di un trattamento con farmaci beta-bloccanti piuttosto che con calcio-antagonisti in quanto gli effetti antiadrenergici dei beta-bloccanti possono di per sé limitare l’ansia. Da un punto di vista generale, è bene ricordare che la maggior parte dei farmaci cardiovascolari (così come, d’altra parte, la maggior parte dei farmaci attivi sul SNC) sono prescritti per lunghi periodi, a volte per una terapia cronica. Questo è vero, ad esempio, per i beta-bloccanti, per le associazioni di antipertensivi, per le statine e per gli agenti antipiastrinici. Di conseguenza, il rischio di effetti collaterali psichiatrici deve essere analizzato attentamente poiché, a causa dei tempi molto lunghi della terapia, l’insorgenza dei sintomi psichiatrici può rivelarsi una comorbilità piuttosto che un effetto avverso del trattamento.

Altri esempi meno ovvi sono quelli di alcuni antitrombotici come il clopidogrel sulla plasticità neuronale. Inoltre, i pazienti psichiatrici possono essere più sensibili agli effetti avversi dei farmaci cardiovascolari. Le attuali conoscenze supportano il concetto che i farmaci esplicano effetti pleiotropici colpendo diversi bersagli biologici che possono concorrere sia alla loro azione terapeutica sia al presentarsi degli effetti collaterali. Ad esempio, i recettori serotoninergici sono un target comune di lassativi, psicolettici, antiemetici e beta-bloccanti e ciò suggerisce la possibilità di comparsa di effetti collaterali che si instaurano contemporaneamente allo specifico effetto terapeutico.

Meccanismi attraverso i quali i farmaci cardiovascolari influenzano le funzioni psichiche

Una completa ed esaustiva classificazione di tutti i farmaci attualmente disponibili per la maggior parte delle malattie cardiovascolari è incentrata sulla descrizione di agenti caratterizzati da molteplici attività coesistenti su diversi bersagli molecolari quali recettori, enzimi, membrane e canali ionici. Molti composti sono attivi non solo su target periferici, ma anche a livello di sinapsi del SNC. A concentrazioni terapeuticamente attive diversi composti potrebbero non essere selettivi per target molecolari periferici ma essere in grado di attivare anche quelli centrali. Pertanto, la possibilità che farmaci cardiovascolari possano influenzare le funzioni neurologiche e psichiatriche è concreta.

Di rilievo l’osservazione che il trattamento dell’arresto cardiaco con adrenalina durante la rianimazione aumenta la sopravvivenza rispetto al placebo, ma, sebbene l’adrenalina contribuisca a ripristinare la circolazione in un terzo dei casi, si è osservato un danno cerebrale grave pari a quasi il doppio in coloro che sono sopravvissuti [10]. Lo studio sottolinea come sebbene la somministrazione di adrenalina sia stata comunemente utilizzata per l’arresto cardiaco da oltre 60 anni, non ci siano chiare prove circa l’effettiva utilità contrapposta al possibile danno. L’adrenalina aumenta la probabilità che il cuore riacquisti un ritmo normale favorendo il flusso sanguigno al cuore ma, tuttavia, provoca anche la costrizione di piccoli vasi sanguigni che possono al contrario ridurre il flusso di sangue ad altri organi, incluso il cervello, e quindi portare a danni neurologici.

Un altro esempio che ben chiarisce questo aspetto riguarda i recettori α2-adrenergici presenti nel cervello e in periferia e che non sono distinguibili; farmaci come la clonidina possono agire, come agonisti recettoriali su entrambi i bersagli, periferici e centrali; l’effetto complessivo atteso sarà quello di diminuire l’output simpatico e quindi di diminuire la pressione sanguigna, dato che i recettori α2-adrenergici localizzati in sede presinaptica hanno funzioni inibitorie sulla stessa attività noradrenergica. Tuttavia, questa attività potrà essere esercitata oltre che sui centri di controllo cardiovascolare anche in aree cerebrali nelle quali tale effetto (la riduzione della trasmissione noradrenergica) è associato a un aumentato rischio di depressione.

Da un punto di vista farmacologico generale, effetti a livello cerebrale sono attesi da parte di tutte le molecole attive sulla trasmissione adrenergica e sui canali ionici. D’altra parte, anche altri farmaci possono avere profili farmacologici complessi che possono includere azioni a livello del sistema nervoso. Ad esempio, sia le statine sia gli antagonisti del recettore per l’angiotensina (i sartani) possono esplicare azioni sui processi infiammatori che coinvolgono la produzione di citochine, mediatori polipeptidici che possono agire da molecole segnale per il cervello.

Infine, come già sottolineato, azioni a livello cerebrale dei farmaci cardiovascolari non sono necessariamente sempre negative, alcune possono essere di benefico per il paziente, altre potrebbero essere considerate per lo sviluppo di molecole con nuove indicazioni terapeutiche (vedi oltre).

L’opportunità da cogliere: sfruttare il potenziale dei farmaci cardiologici in psichiatria.

Un aspetto che emerge dalla letteratura recente riguarda la possibilità di riposizionare alcuni farmaci cardiologici in ambito psichiatrico. Un esempio concettuale, con una letteratura controversa: se i farmaci anti-adrenergici comportano il rischio di effetti collaterali di tipo psichiatrico, in particolare, screzi depressivi, non è possibile che gli stessi siano utili in condizioni psichiatriche nelle quali si ipotizza un ruolo per una eccessiva attivazione adrenergica, per esempio i disturbi postraumatici da stress (PTSD)? Sulla base di questa logica sono stati condotti una serie di studi riassunti in tabella 2. Il caso della reserpina, di valore storico, è emblematico anche se non ha oggi risvolti pratici. La reserpina dal punto di vista meccanicistico ha un meccanismo particolare: impedisce la ricaptazione vescicolare di alcuni trasmettitori sia a livello periferico sia a livello centrale. In particolare, l’effetto è esercitato sulle terminazioni catecolaminergiche e serotoninergiche. Tale azione esita nella degradazione intracellulare di dopamina, noradrenalina e serotonina non più protette nel comparto vescicolare. Nel breve termine si verifica una sorta di denervazione chimica delle sinapsi contenenti dopamina, noradrenalina e serotonina. In ambito cardiovascolare la reserpina fu usata a piccole dosi in associazione con diuretici in pazienti ipertesi per ridurre il tono simpatico adrenergico, con qualche effetto secondario a livello di tono dell’umore dei pazienti. La stessa reserpina in psichiatria fu proposta per sedare il paziente agitato, tuttavia gli effetti del farmaco alle dosi che esercitano tale effetto sono troppo drastici e troppo coinvolgenti anche i sistemi periferici per cui l’uso non venne sviluppato. Sperimentalmente il farmaco è stato utilizzato per realizzare modelli animali di depressione caratterizzati da una profonda deplezione aminergica centrale. Il caso bene sottolinea come in assenza di selettività d’organo (periferia verso cervello) un farmaco che interferisca con la trasmissione monoaminergica possa avere profondi effetti su sistemi periferici di regolazione cardiovascolare e su nuclei encefalici responsabili di numerosi comportamenti e funzioni comprendenti, ma non limitate, al controllo centrale del sistema cardiovascolare stesso.

Sarebbe qui forse troppo lungo commentare tutti gli esempi riportati nella tabella, sui quali maggiori dettagli sono disponibili nei rispettivi riferimenti bibliografici, vale però la pena di fare qualche commento generale e sottolineare alcune peculiarità. Da un punto di vista generale va notato come tutti gli impieghi indicati siano stati sperimentali o costituiscano la raccolta di esperienze sull’uso off label del farmaco; e come spesso i diversi studi non abbiano portato a risultati coerenti. Un esempio per tutti: i dati controversi sull’uso dei beta bloccanti nei BPSD. In questo ambito i risultati più interessanti sono forse quelli riportati da Bernik et al. [11] nel corso del 2019 che riguardano i pazienti con sindrome coronarica acuta trattati con beta bloccanti che riporterebbero meno disturbi di tipo psichico legati al trauma vissuto rispetto a coloro trattati in altro modo, in questo caso si può pensare che il trattamento con beta bloccanti oltre a esercitare gli effetti cardiovascolari voluti avrebbe il vantaggio di ridurre i possibili correlati psichici associati all’evento stesso e quindi costituire una scelta razionale e vantaggiosa.

Calcio antagonisti e antiaggreganti nelle demenze neurodegenerative

Si tratta di un argomento particolarmente caro agli autori di questo breve testo, uno dei quali (S.G.) in anni lontani aveva studiato l’attività di alcuni calcioantagonisti a livello del sistema nervoso centrale e dai primi anni Novanta si è interessato alla neurobiologia della malattia di Alzheimer. La malattia di Alzheimer (AD) e così anche altre demenze sono interdigitate con problemi di circolazione cerebrale e spesso esistono situazioni di comorbilità. Negli anni ’80 una certa scuola di pensiero, diffusa a livello internazionale, aveva molto puntato sull’importanza della circolazione cerebrale ed erano nati una serie di farmaci utilizzati nell’invecchiamento ai quali era attribuita la capacità di migliorare il circolo cerebrale e così la situazione cognitiva dell’anziano. In questo contesto si inserirono alcuni calcioantagonisti come la flunarizina e la nimodipina. Delle due, la storia della prima è emblematica perché la flunarizina ha un profilo farmacologico complesso (vedi i commenti oltre), tra cui proprietà antidopaminergiche [12] che verosimilmente sono alla base degli effetti collaterali neurologici (disturbi motori parkinson-simili) e psichiatrici (depressione) osservati in alcuni pazienti anziani. In generale il mondo dei calcioantagonisti suscitava interessi più ampi perché oltre a essere farmaci cardiovascolari ben posizionati in quegli anni (metà degli anni ‘80 – metà degli anni ‘90) venivano pubblicati studi che sottolineavano il potenziale ruolo citotossico del calcio libero non controllato e l’esistenza di canali del calcio sensibili ai calcio-antagonisti anche nel SNC. Ne nacquero studi sui potenziali effetti neuroprotettivi di questi composti ben sostenuti da indagini precliniche e meno da studi clinici. I dati più recenti, come quelli ricordati in tabella in relazione alla nivaldipina, in studi controllati non hanno mostrato effetti di rilievo. In realtà il discorso è più ampio e una parte delle controversie presenti in letteratura deriva dalla condizione biologica di base oggettiva: screzi vascolari e malattia neurodegenerativa coesistono e in molti casi e concorrono alla espressione del danno e alla velocità di decadimento. Per questo motivo interventi attivi sulla componente vascolare, anche sistemica, possono attenuare in virtù del loro effetto sui vasi la condizione complessiva. In questo senso si possono anche leggere i risultati pubblicati sugli effetti del controllo più o meno aggressivo dell’ipertensione arteriosa [13] e i dati sull’uso degli antiaggreganti. In senso lato si può affermare che interventi dall’accertato profilo favorevole sul versante cardiovascolare, compresi, oltre ai farmaci, gli interventi sullo stile di vita, possono avere un peso favorevole anche sul versante cognitivo e sulla prevenzione della demenza. Questa affermazione non è basata sul solo “buon senso” ma sugli studi ricordati in parte nella tabella e sulle indagini condotte dai gruppi del Nord-Europa (Finger study, lo studio originario su oltre 1250 anziani assegnati al solo gruppo di intervento è del 2015, ma è qui utile citare la rassegna pubblicata dallo stesso gruppo su Nat. Rev. Neurology [14]) che hanno mostrato come interventi basati sul trattamento simultaneo di diversi fattori di rischio vascolare e associati allo stile di vita attraverso un intervento multidimensionale possono migliorare la funzione cognitiva negli individui anziani ad alto rischio per la demenza; si veda anche il significativo editoriale di Kivipelto e Ngandu [15] dal titolo emblematico “Good for the heart and good for the brain?”

La visione d’insieme

Nel complesso le informazioni riportate consentono una serie di considerazioni generali di carattere farmacologico e applicativo riassunte nel riquadro Take home messages. Da sottolineare che molti farmaci cardiovascolari (come peraltro quasi tutti i farmaci) oltre ad avere un’attività farmacologica primaria, quella per cui sono più noti (ad esempio beta bloccanti, alfa bloccanti, calcio antagonisti) e classificati hanno profili farmacologici complessi: si pensi all’azione sul sistema serotoninergico di alcuni beta bloccanti o alle statine (che oltre a bloccare l’attività della HMGCoA-reduttasi hanno una serie di azioni sulla espressione di citochine che controllano l’infiammazione). Gli effetti indesiderati o voluti a livello psichiatrico potrebbero essere correlati a tali attività in aggiunta e/o piuttosto che all’azione principale. Lo studio accurato dei profili delle molecole selezionate è quindi sempre opportuno soprattutto nei pazienti fragili e con comorbilità.

Vale la pena di spendere qualche parola in più sull’ultimo item dei take home messages o punti chiave: il potenziale riposizionamento di alcuni farmaci cardiovascolari. Questo argomento sta ricevendo molta attenzione da parte del mondo scientifico in diversi settori della farmacoterapia. Si suggerisce la lettura del bell’articolo di Pushpakom et al [16] che fa il punto su questo processo e sull’importanza dell’accurata analisi dei profili farmacologici complessi utilizzando i metodi bioinformatici e i database oggi disponibili. A questi vanno aggiunti i dati che sempre più si stanno accumulando sull’impiego dei farmaci da parte di migliaia di pazienti e sui loro effetti collaterali. Si tratta di una mole formidabile di numeri per la quale servono strategie e programmi di data mining e di analisi ma che potranno contribuire al processo di riposizionamento di farmaci. I vantaggi di quest’ultimo processo, che nulla toglie allo sviluppo di nuove e complesse molecole, sempre più spesso di origine biologica, sono quelli di poter saggiare in nuove indicazioni migliaia di molecole che sono già state usate nell’uomo e di cui si conoscono in buona misura la farmacocinetica e la tossicità. Tutto questo permette di concentrare gli studi clinici sulle nuove applicazioni con minori costi di sviluppo, un aspetto importante per la sostenibilità delle cure.

Take Home Messages

1. Aspetti generali

  • Molti farmaci cardiovascolari hanno meccanismi d’azione coerenti con la possibilità di riconoscere bersagli sia a livello periferico sia a livello encefalico (ad esempio recettori aminergici e canali ionici) e di raggiungerli perché in grado di passare la barriera emato-encefalica.
  • Alcune di queste azioni sono alla base di effetti collaterali indesiderati a livello psichiatrico (ad esempio la depressione con alcuni farmaci antipertensivi).

2. Rilevanza degli effetti collaterali di tipo psichiatrico

  • Va sempre valutato il profilo farmacologico completo dei farmaci cardiovascolari e la possibilità che diano origine a effetti collaterali di tipo psichiatrico
  • Nei pazienti psichiatrici e negli anziani la suscettibilità agli effetti collaterali di tipo psichiatrico potrebbe essere maggiore. In particolare, in presenza di una comorbilità psichiatrica vanno evitate quelle molecole che possono aggravare lo stato psichiatrico.

3. Riposizionamento di farmaci cardiovascolari

  • Le attività di alcuni farmaci cardiovascolari sul cervello potrebbero essere meglio esplorate e sfruttate, ma occorrono studi clinici controllati ad hoc
  • Questo tipo di indagini potrebbe avvalersi anche di dati raccolti nel “mondo reale” sull’impiego dei farmaci esistenti su grandi numeri di pazienti.

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[29] Kern S, Skoog I, Ostling S, Kern J, Börjesson-Hanson A. Does low-dose acetylsalicylic acid prevent cognitive decline in women with high cardiovascular risk? A 5-year follow-up of a non-demented population-based cohort of Swedish elderly women. BMJ Open. 2012; 2(5). pii: e001288.

[30] El-Haggar SM, Eissa MA, Mostafa TM, El-Attar KS, Abdallah MS. ThePhosphodiesterase Inhibitor Pentoxifylline as a Novel Adjunct to Antidepressants in Major Depressive Disorder Patients: A Proof-of-Concept, Randomized, Double-Blind, Placebo-Controlled Trial. Psychother Psychosom. 2018; 87(6):331–9.

Tabella 1 – Alcuni dei più frequenti effetti avversi cardiovascolari dei farmaci psichiatrici.

FarmaciQT lungoTachiaritmieBradiaritmiePatologia coronarica (angina/infarto)Sindrome metabolicaIpotensione ortostaticaMiocarditi/ cardiomiopatia
Antipsicotici tipici Torsioni di punta     
Antipsicotici atipici Torsioni di punta    Clozapina Quetiapina Amisulpride
Litio       
Antidepressivi tri(tetra)ciclici Torsioni di punta     
SSRI/SNRI/ altri Torsioni di punta     

Abbreviazioni: SSRI, inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina; SNRI, inibitori della ricaptazione della serotonina e noradrenalina

Tabella 2 – Effetti dei farmaci cardiovascolari potenzialmente sfruttabili in psichiatria

Classe e/o meccanismoInibitori del trasporto vescicolareFarmaci antipertensi-vi a meccanismo d’azione centrale, agonisti dei recettori a2 adrenergiciBeta bloccantia1 bloccantiNitratiCalcio antagonistiFarmaci antiaggregantiInibitori delle fosfodisterasi  
 La sedazione del paziente agitato è uno degli originali impieghi psichiatrici della reserpinaDisturbo d’attenzione e iperattività (ADHD) [clonidina, vedi 17]Potenziale trattamento del disturbo post-traumatico da stress [PTSD, con risultati controversi, 18-20] Attacchi di panico indotti da Flumazenil [inefficacia del pindololo, 21] Riduzione dei sintomi diPTSD [propranololo, 21]. Riduzione di sintomi di PTSD associati a eventi coronarici acuti [22]  Attenuazione degli incubi associati a PTSD [23] Trattamento del PTSD [nessun effetto, 24] Trattamento del disturbo di abuso di alcol [24]Trattamento della schizofrenia [effetto favorevole, 25; altri non confermano]Disturbi cerebrovascolari Vari calcioantagonisti associati a diversi impieghi [26] Malattia di Alzhimer [nivaldipina, nessun effetto, 27] Disturbi del tono dell’umore [nicardipina, in esame, 28; verapamile vedi 17]Effetti favorevoli dell’ASA sul declino cognitivo [29]Effetti favorevoli nei pazienti depressi [30]

Nota: I potenziali effetti favorevoli riportati sono spesso controversi in letteratura e costituiscono usi off label e azioni studiate in indagini di riposizionamento

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