Resilienza e stress nell’anziano. La sindrome di Anteo.

“La completa libertà dallo stress è la morte. Contrariamente a quanto si pensa di solito, non dobbiamo e, in realtà, non possiamo evitare lo stress, ma possiamo incontrarlo in modo efficace e trarne vantaggio imparando di più sui suoi meccanismi e adattando la nostra filosofia dell’esistenza ad esso.” H. Selye, 1974

I primi studi sulla resilienza applicata alle scienze umane, sono degli anni ’80 (Emmy Werner, 1982), anche se già nel 1945 Grinker e Spiegel avevano studiato la capacità reattiva in individui che avevano subito forti stress bellici o nei superstiti dei lager. Le prime ricerche furono utilizzate a valutare le competenze mostrate da bambini disadattati e solo recentemente (Bonanno, 2004) esse hanno riguardato anche la popolazione adulta e anziana in situazioni di criticità (licenziamento, cassa integrazione, pensionamento, terremoti, guerre, lutto, malattia acuta e cronica, povertà, istituzionalizzazione, violenze e abusi).

Varie sono le definizioni di resilienza riportate in letteratura, ciascuna esaltante l’aspetto psicologico ritenuto alla base della resilienza stessa. L’elemento comune alle diverse definizioni sta comunque sia nel significato etimologico che in quello originario proveniente dalla fisica dei materiali. L’etimologia di resilienza deriva dal latino resalio, iterativo di salio, che significa, saltare, rimbalzare e per estensione ballare. Il termine

  • in fisica, indica l’attitudine di un corpo a resistere a un urto
  • in ingegneria, la resilienza esprime la capacità di un materiale di resistere a sollecitazioni improvvise senza rompersi o fessurarsi, per cui ha come contrario “la fragilità”
  • in informatica, la resilienza indica la qualità di un sistema, in grado di continuare a funzionare a dispetto di anomalie legate ai difetti di uno o più dei suoi elementi costitutivi (Malaguti, 2005)
  • in psicologia, la resilienza indica la capacità di un individuo di mantenersi compensato di fronte a situazioni avverse o a gravi esperienze traumatiche e, in definitiva, essa esprime la capacità di una persona  di resistere a situazioni avverse atte a fargli  superare lo stress negativo e traumatico.

In definitiva la resilienza è la capacità di una persona di gestire le circostanze avverse della vita, superandole e imparando da esse.

B. Cyrulnik definisce la resilienza  come “la capacità o il processo di far fronte, resistere, integrare, costruire e riuscire a riorganizzare positivamente la propria vita nonostante l’aver vissuto situazioni difficili che facevano pensare a un esito negativo” È, in sostanza, la capacità di “rimanere in piedi”.
Nelle scienze umane, la resilienza esprime la capacità di affrontare positivamente un evento critico, ripristinando l’equilibrio psico-fisico precedente lo stress.
Per Manciaux  (2001) la resilienza è la capacità di una persona  o di  un  gruppo, di svilupparsi positivamente, di continuare a progettare il proprio futuro, a dispetto di avvenimenti destabilizzanti, di condizioni di vita difficili, di traumi anche severi.

Secondo Cyrulnik una delle caratteristiche principali della resilienza è la sua capacità di trarre un insegnamento  da un evento traumatico, che può, in tal caso, trasformarsi in “motore di cambiamento possibile”, invece   di essere un fattore negativo ed escludente. In questo senso la resilienza si oppone alla teoria del disengagement di Elain Cumming  e William Henry (1961), che descrive la vecchiaia come un’età  in cui il soggetto progressivamente, per un senso di autoconservazione, non si sente più idoneo a svolgere alcune attività fisiche-lavorative, psicologiche e sociali  e decide, quindi, di “tirare i remi in barca”. Chiusi sempre più in se stessi ridurrebbero sia i loro interessi che le relazioni con gli altri. Già prima ancora che gli studiosi della resilienza ne formulassero la teoria, si svilupparono, negli anni ’60, numerose ricerche basate su un invecchiamento di successo e sulla capacità che le persone fossero in grado di mantenere anche in tarda età un sentimento di felicità.  Havighurst (1963) propose la teoria dell’attività, secondo la quale l’invecchiamento fisiologico non escluderebbe il mantenimento di un buon livello di attività nelle funzioni che il soggetto aveva esercitato nella fase adulta della vita.

Un’altra caratteristica della resilienza è la sua plasticità e dinamicità, nel senso che essa non è una prerogativa  permanente dell’individuo. Soltanto un attento follow up longitudinale ci può dare contezza di quanto un soggetto sia o non sia resiliente. E’ dimostrato che contesti familiari e sociali adeguati costituiti attorno all’anziano sono in grado di promuovere la resilienza. Posto che i fattori che possono attivare la resilienza sono di tipo individuale, relazionale e sociale, è importante conoscere la capacità residua di un anziano per saperli o poterli utilizzare in modo autonomo, o, nel caso in cui non abbia la capacità reattiva a superare uno stress, è necessario individuare le diverse relazioni d’aiuto che possono attuare alcune strategie idonee a migliorarne la resilienza.

Fra i componenti individuali che dispongono alla resilienza, Rutter (1985) riporta il temperamento mite e un’intelligenza al di sopra della media. Altri studiosi hanno osservato che anche la spiritualità, le solide basi morali, l’ottimismo, la creatività e l’umorismo sono fattori in grado di attivare la resilienza. Noi aggiungiamo fra i fattori positivi anche la gerogogia. Imparare a invecchiare, accettarsi anche canuti, calvi, rugosi, malati e anche poco rispettati e isolati dà certamente all’individuo non solo la forza a procedere lungo i sentieri impervi dell’invecchiamento, ma gli dà contezza a considerare quest’ultimo in modo sereno, come un momento logico e “legittimo” della propria esistenza e  una tappa, anche se terminale, della vita di cui bisogna essere comunque contenti per esserci arrivati.

Per quanto attiene poi le componenti familiari si è visto che una famiglia può essere considerata sana se dimostra la capacità di affrontare e risolvere i problemi che quotidianamente possono presentarsi e non solo quando c’è l’assenza di sofferenze. In tal modo si è costruito un modello familiare basato sulla resilienza, in grado di superare lo stress, mediante strategie di coping positive e condivise, in grado di attivare un clima familiare facilitante, dove “la condivisione di esperienze positive  accresce il senso di soddisfazione e di efficacia di  una famiglia”.

Fra le strategie idonee a migliorare la propria resilienza bisogna ricordare le componenti sociali, come l’influenza della cultura o del senso collettivo, con lo sviluppo di una efficace rete relazionale.

Secondo gli studiosi della materia sono cinque  i fattori che determinano la resilienza

  • fiducia, ossia la capacità di fare affidamento nelle persone
  • autonomia nell’avere la libertà decisionale
  • industriosità nel senso di sapersi impegnare in un compito, avere competenze relazionali e capacità di problem solving
  • iniziativa nel senso di essere in grado di compiere liberamente azioni  di propria volontà
  • identità consistente nello sviluppo armonico del Sé nell’adolescenza.

Definita in tal modo la resilienza e descritte le sue capacità, a questo punto, è doveroso porsi una domanda.

La resilienza può essere essere utilizzata dall’anziano e in modo particolare quando è  disabile, demente, o se  subisce un abuso?

Resistere allo stress è certamente molto difficile, specie per soggetti vulnerabili quali sono spesso gli anziani, Antonovsky nel fondare un modello salutogenico, che affronta lo stress, ritenendolo  inevitabile. si pose una domanda
“è possibile vivere e vivere bene sotto stress?”

L’Autore afferma che malgrado la vita sia soggetta continuamente a diversi stress, sono numerose le persone che riescono a vivere bene e  a sviluppare livelli ottimali di benessere.

A scanso di equivoci o per non cadere in pregiudizi o in petizioni di principio, che poco hanno a che fare con la realtà, è necessario valutare il real world. Il mondo sta cambiando sempre più in senso globale. La popolazione nativa di una Nazione non è oggi più quella di appena venti anni fa. Le continue migrazioni avvenute in Italia negli ultimi tempi stanno  di fatto determinando un rimescolamento etnico meticciato, reso sempre più evidente dalla transizione demografica che evidenzia un quoziente di fecondità al di sotto dell’1.2% per le donne italiane e dell’1.5% per le migranti.

E’ importante  per noi medici soffermarsi e considerare le differenze antropologiche-culturali dei singoli individui per non commettere l’errore di omogeneizzare i soggetti come fossero tutti uguali. E allora la resilienza si comporta alla medesima maniera in tutti gli uomini e in particolare in anziani provenienti da diverse parti nel mondo e che sono costretti a vivere una realtà differente da quella che avevano lasciato nel loro Paese? Le capacità reattive sono uguali in tutti o si diversificano ? Come si comportano  davanti a un lutto, alla morte, alla vecchiaia, alla povertà anziani italiani, europei e extracomunitari?

La nostra risposta, che nasce dalla quotidiana partecipazione alla vita degli anziani, è negativa e ci porta ad affermare che se alcuni anziani invecchiati con successo sono ancora in grado di reagire positivamente a uno stress ed essere pertanto resilienti, la maggior parte di essi per attivare la resilienza ha bisogno di “non essere lasciato solo”. La resilienza  acquista quindi valore originale e innovativo nel momento in cui esalta le potenzialità del soggetto e non i suoi deficit.
Risulta quindi importante “riconoscere le forze che restano in campo, per poterle valorizzare, permettendone l’espressione e ravvivando ciò che è latente”. E tutto ciò è molto più rilevante per le persone anziane  le cui capacità residuali funzionali dei vari organi ed apparati risultano già notevolmente ridotte anche in assenza di malattia. In questi soggetti l’utilizzo di alcune procedure come l’adattamento, l’empowerment, il counseling , il coaching, l’ottimismo e il flow  possono essere il volano che può attivare la resilienza per  generare e promuovere salute.

Il 13 aprile del 2013 sul volume  381 di Lancet alle pagine 1312-1331 sono apparsi due articoli  “Ageing in the European Union” e “Financial crisis, austerity, and Health in Europe” che sottolineano come l’invecchiamento della popolazione con la crescente necessità di servizi ospedalieri differenziati e la necessità di attivare sempre più quelli lungodegenziali e territoriali rappresenta una sfida per la politica sanitaria europea. Nello stesso tempo, tuttavia, la severa crisi finanziaria che affligge il villaggio globale sta determinando un incremento dei suicidi, di morti nel traffico stradale e per malattie infettive e gli stati membri non sono stati ancora in grado di attivare strategie idonee per un welfare giusto che garantisca una politica sanitaria  specie per le classi di età più fragili.

Secondo i dati Istat, In Italia, nel 2012  i poveri erano oltre 14 milioni. Di questi, le persone  in condizioni di povertà relativa erano il 15,8%, pari a 9,5 milioni di poveri e quelli in una situazione di povertà assoluta erano il 5,7%, pari a 4,8 milioni. Le coppie con povertà relativa di età oltre i 65 anni erano l’11,9%, mentre l’8,6% degli ultrasessantacinquenni nelle medesime condizioni di precarietà economica vivevano da soli.

In questo ambito greve, dove l’anziano diventa sempre più fragile e vulnerabile per motivi anagrafici,  per fattori sanitari, per carenze socioeconomiche e per l’impoverimento del capitale sociale, quali possono essere gli strumenti che egli può utilizzare per superare un momento di crisi generale e personale? In che modo egli può “rimettersi in piedi”?
E, poi, anche qualora avesse a disposizione tali strumenti, un anziano fragile è in condizione di essere un resiliente? Un difetto, a mio parere, di molti studiosi della resilienza, è di ritenere che le persone, anziani compresi, siano in grado di affrontare gli eventi stressanti proprio in virtù della resilienza. Ma si può, invece, osservare che nella realtà non tutti hanno la capacità di attivare positivamente e nella stessa misura questo processo di adattamento. Non sempre tutti sono in grado di rialzarsi da soli.

In particolare, nel rilevare le capacità resilienti in un anziano è necessario ricordare che la resilienza è un percorso del tutto personale. Ogni individuo reagisce in modo diverso a un evento drammatico, tant’è che una reazione d’aiuto valida per un anziano può risultare inefficace in un altro.

Di fronte a un anziano poco resiliente ma che conserva in modo latente alcune energie per poterlo essere,  esistono alcune procedure associate alla resilienza,  che devono essere attuate da un geriatra attento ed empatico. Tali teorie, associate, in vario modo, alla resilienza, mettono in  risalto l’identificazione delle risorse personali, specie nel momento in cui un anziano deve fa fronte a nuove emergenze stressanti (acuzie di patologie cronico-degenerative, malattie oncologiche o autoimmuni, ecc.). Il nostro scopo è quello di rendere un anziano vulnerabile come Anteo.

L’empowerment significa “dare potere”, “mettere in grado di”, “sentirsi capace di fare”.  Wallerstein N (2006)  lo definisce  come “un processo dell’azione sociale attraverso il quale le persone, le organizzazioni e le comunità acquisiscono competenze sulle proprie vite, al fine di cambiare il proprio ambiente sociale e politico per migliorare l’equità e la qualità di vita”.
Le Bossè e Lavalée lo definiscono come un processo per il quale una persona che si trova in condizioni di vita più o memo debilitanti sviluppa il sentimento che è possibile esercitare un maggiore controllo sugli aspetti della sua realtà psicologica e sociale. Per Rappaport (1977) è “un processo che mira  a favorire l’acquisizione di potere, cioè ad accrescere le possibilità de singoli e dei gruppi di controllare attivamene la propria vita”.
L’organizzazione Mondiale della Sanità (WHO), con la Dichiarazione di Alma Ata (1978), la Carta di Ottawa (1986), la Dichiarazione di Jakarta (1998) e la Carta di Bangkok (2005) ha affermato che l’empowerment costituisce uno strumento e un fine della promozione della salute.
L’importanza personale dell’empowerment è tale da indurre L’Healths Evidence Network (HEN, Ufficio Europeo del WHO) a commissionare a Nina Wallerstein, Professore e Master  in Public Health Program dell’Universitò del New Mexico U.S.A., un report sull’evidenza della sua efficacia nel migliorare la salute.

Per favorire il processo di resilienza è sempre importante poter correlare e integrare le dimensioni della vulnerabilità e dell’empowerment. Tutto ciò, infatti, assume una valenza pregnante quando si ricerca, si studia e si valuta la capacità reattiva, anche residuale, in anziani con evidente disabilità fisica, psichica o economica e, fra l’altro, a nostro parere, viene posta poca attenzione alle differenze di  genere, nel momento in cui le donne in numeri assoluti e in percentuale sono superiori ai loro maschi coevi. Francescato e Burattini (1997) ritengono, in particolare, che “il costrutto di empowerment femminile si basa su un modello di come le relazioni di genere dovrebbero essere, piuttosto di come sono realmente”.

Elemento necessario per essere resilienti è il processo di adattamento, tant’è che Patterson definisce la resilienza come la capacità di funzionare in modo adatto e di divenire competenti nonostante situazioni stressanti. Ne consegue che lo stress diventa “l’agente di resilienza“ ovvero una condizione che consente l’emergere del processo resiliente, in virtù di una capacità di adattamento dell’individuo, mutuata anche dall’ottimismo che si articola con la permanenza , cioè la capacità di percepire gli eventi negativi come transitori, la pervasività che ritiene non generalizzabili gli eventi negativi e infine la personalizzazione che consente di non autoaccusarsi di qualsiasi evento negativo  avvenuto.

Altra procedura che si associa e talora viene confusa con la resilienza è il processo di coping. Il termine deriva dal verbo inglese to cope che significa “far fronte”. Gli studi sul coping risalgano al 1984, con Lazarus e Folkman per indicare un processo attivo, mediante il quale un soggetto, attraverso un’autovalutazione delle proprie capacità e delle motivazioni personali, fa fronte a un una situazione stressante ed è capace di dominarla. A una valutazione affrettata sembrerebbe che tra coping, capacità di far fronte e resilienza, capacità di resistere non ci sia alcuna differenza, in quanto entrambe le procedure affrontano uno stress o un trauma e lo risolvono. Tuttavia, malgrado questa stretta parentela, tra loro esiste una concreta differenza. Il coping avrebbe un valore temporale più limitato al qui ed ora, mentre la resilienza “si inscrive in un contesto temporale dilatato, in quanto essa è in parte innata, in parte acquisita attraverso un preciso percorso di adattamento”.

Un ruolo importante per determinare la resilienza è dato dall’attaccamento. Bowlby (1079) descrisse la teoria dell’attachment come “un modo di concettualizzare la propensione degli esseri umani a fare forti legami affettivi. L’attaccamento, comunque venga attuato all’interno della famiglia o di una comunità, e sempre che sia sicuro, accettato e fiducioso, assume un ruolo importante nel determinare la resilienza.

I legami di attaccamento, nell’età senile, si embricano con le diverse figure che nei diversi setting  hanno rapporti con il vecchio e si prendono cura di lui, care giver, vale a dire coniuge, figli, parenti, amici, volontari, personale di assistenza.

Ulteriori metodi di relazione d’aiuto o di supporto one to one che possono fare emergere in un soggetto la resilienza sono il counseling e il  coaching. Anche se i due metodi, a una prima osservazione possono apparire simili, non fosse altro perché numerosi elementi del counseling fanno ormai parte del coaching, tuttavia esistono fra loro chiare differenze, ma entrambi sono in grado di emergere quanto di resiliente rimane ancora in un soggetto vulnerabile, partendo dal presupposto che entrambi promuovono il processo di auto-realizzazione di un individuo, attraverso un rapporto di fiducia tra professionista e “cliente”.
Counseling, dal latino cum solere significa sollevare insieme. Nasce con gli studi di Rogers, iniziatore della “teoria centrata sul cliente”, e sottolinea come un paziente-cliente si rivolge a un professionista  per risolvere i propri problemi. Rappresenta in sintesi una relazione di aiuto aIl’auto-aiuto e incentrata nella relazione tra counselor e cliente che ha difficoltà psicologiche secondarie a ostacoli e problemi di varia natura., Presupposto del successo del counseling è che il soggetto che lo richiede abbia una personalità salda, anche se momentaneamente squilibrata, in modo che egli possa prendere decisioni che gli fanno riacquistare uno stato di benessere

Il coaching, che trae origine dal mondo sportivo (coach =allenatore) nasce negli USA negli anni ’80 Il coach utilizza la comunicazione, specie le domande, per far riflettere il cliente e per stimolarlo, in modo da fargli risolvere i problemi, esprimere le sue migliori potenzialità e affrontare le fasi di cambiamento. In definitiva la relazione di coaching non è finalizzata all’adattamento ma al cambiamento, allo sviluppo, all’evoluzione attraverso il superamento di ostacoli e la valorizzazione di risorse.

Alla fine della trattazione sulla resilienza e su tutti i vari metodi che in diversa misura sono in grado di farla emergere, ci rendiamo conto di quanto sia complicato, difficile e in casi estremi anche impossibile realizzare tutto questo in soggetti molto anziani, disabili, vulnerabili e con compromissione cognitiva Ma siamo altrettanto fiduciosi e ottimisti nel ritenere che le possibilità umane non si esauriscono mai. Il proverbio inglese You can’t teach an old dog new tricks (non è possibile insegnare a un vecchio cane nuovi trucchi), non esprime la realtà delle cose. Noi pensiamo all’anziano, pur con polipatologia, povero, isolato e solitario, come ad un nuovo Anteo, Tutte le volte che cade per terra riuscirà sempre anche se con difficoltà a sollevarsi e a risolvere i problemi del trauma e dello stress, proprio in virtù della resilienza. Ma per fare questo il nuovo Anteo ha bisogno che Ercole (care giver) non lo soffochi, ma gli dia invece una mano per sollevarsi.

 

Carmine Macchione
Direttore Scientifico ACSA Magazine,
già professore di Geriatria e Gerontologia dell’Università di Torino


Bibliografia

Antonovsky A., The salutogenic model as a theory to guide health promotion. Health Promot Int 1996;11: 11-8.

Browne CJ, Attachment theory, ageing and dementia: a review of the literature, Ageing Mental Healt, 2006;10(2): 134-142.

Cyrulnik B., Malaguti E., Costruire la resilienza . La riorganizzazione positiva della vita e la creazione di legami positivi. Trento, Ed. Erickson, 2005.

Magrin ME, Dalla resistenza alla resilienza: promuovere benessere nei luoghi di lavoro, Giorn. Ital.Med. Lavoro ed Ergonomia, 2008; 30, 1, A11-A19.

Malaguti E., Educarsi alla resilienza. Come affrontare crisi e difficoltà e migliorarsi. Trento, Ed. Erickson, 2005.

Padrin D., Invertire la rotta. Promuovere la resilienza. Università degli studi dell’Insubria. Tesi di laurea. 2010.

Wallerstein N., What is the evidence on effectiveness of empowerment to improve health? Copenhagen, WHO Regional Office for Europe, December 2007.

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