L’Alzheimer è donna
Viaggio attraverso una malattia al femminile
Gentilissima Redazione di ACSA Magazine,
vorrei, gentilmente, proporre alla vostra attenzione, un mio contributo sul tema della Malattia di Alzheimer. che rappresenta, come è noto, una delle principali cause di disabilità nelle persone anziane e di mortalità.
La MA colpisce gli anziani e maggiormente le donne.
Sappiamo che le donne vivono di più rispetto all’uomo e che l’invecchiamento rappresenta il principale fattore di rischio delle malattie degenerative quale l’Alzheimer, ma la differenza epidemiologica e clinica tra i due sessi non può essere spiegata solo con la maggiore sopravvivenza della donna. Esistono differenze genetiche, ormonali e socio-culturali che possono spiegare il maggior sviluppo della malattia di Alzheimer nelle donne.
Da queste considerazioni e dall’esperienza di oltre 40 anni di attività, è nata l’idea di sviluppare i vari aspetti a specialisti e cultori della materia.
Ho elaborato un articolo soffermandomi sugli aspetti per cui è nata l’idea di scrivere un libro sll’Alzheimer è donna, aggiungendo anche qualche dato bibliografico.
Spero che possa essere preso in considerazione per una pubblicazione sulla rivista ACSA Magazine.
Cordialmente Fausto Fanto’

La demenza è una malattia cronico-degenerativa caratterizzata da un decadimento delle funzioni cognitive superiori, tale da interferire con la normale attività della vita quotidiana (1).
La demenza rappresenta una delle principali cause di disabilità nelle persone anziane e la settima causa di morte (ottava negli uomini e addirittura quinta nelle donne) (2).
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la demenza costituisce un problema di salute pubblica. Sono oltre 55 milioni nel mondo le persone affette da demenza e si stima che nel 2050 le persone colpite da questa malattia saranno oltre 150 milioni (10 milioni di nuovi casi/anno, uno ogni 3.2 secondi (3).

Nel nostro Paese, secondo la Federazione Alzheimer Italia, rappresentante di Alzheimer’s Disease International (ADI), le persone affette da demenza, sono circa 1 milione e mezzo e questo numero è destinato ad aumentare nei prossimi anni; nel 2050, in Italia saranno circa 2.500.000 le persone affette da tale patologia (4).
In Piemonte, su una popolazione di 4 milioni e 356 mila abitanti, i pazienti con demenza sono 92.132 nella fascia d’età uguale o superiore ai 65 anni (late onset) e 1.735 i soggetti con età <65 anni (early onset) (5).
Al milione e mezzo circa di persone a cui è stata diagnosticata una forma di demenza nel nostro paese, bisogna aggiungere circa un milione di soggetti con disturbo cognitivo lieve MCI (Mild Cognitive Impairment) o DNC (Disturbo NeuroCognitivo Minore), secondo la classificazione del DSM 5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) (6)
La malattia di Alzheimer (MA) è la forma più frequente, rappresentando da sola più del 60% di tutte le demenze, ed essa colpisce prevalentemente i soggetti anziani specialmente di sesso femminile (2/3 dei malati di Alzheimer sono donne) (7).
La malattia aumenta in modo esponenziale con l’aumentare dell’età (negli ultra ottantenni sono oltre il 30% i soggetti colpiti) e l’invecchiamento costituisce il fattore di rischio principale.
La MA è una patologia neurodegenerativa caratterizzata, dal punto di vista istopatologico, dalla presenza di placche di amiloide nel cervello, costituite da frammenti di proteine beta-amiloide che si accumulano nello spazio interneuronale, interferendo con la comunicazione tra le cellule nervose e contribuendo al deterioramento cognitivo.
Il precursore di questa proteina è l’APP (Amyloid Precursor Protein), una proteina di superficie con un singolo dominio trans-membrana. Il processo di conversione dall’APP alla proteina beta-amiloide coinvolge beta e gamma secretasi, che agiscono su specifici siti di taglio lungo la catena di amminoacidi dell’APP.
Il tipo e la lunghezza del peptide beta-amiloide prodotto possono variare. Le forme più comuni sono la Aβ40 e la Aβ42, quest’ultima è particolarmente nota per la sua maggiore tendenza a formare aggregati tossici e placche nel cervello, tali accumuli innescano una cascata di eventi che conducono alla morte neuronale (apoptosi); inoltre, nella M.A. la proteina Tau subisce un’iperfosforilazione anomala, che porta alla formazione di aggregati di neurofibrille all’interno delle cellule nervose, che portano al disassemblaggio dei microtubuli e alla perdita di comunicazione tra i neuroni
Anche la risposta immunitaria cronica alle infezioni pare contribuire allo sviluppo della MA.
Sebbene siano stati condotti molti studi sulla patogenesi della malattia di Alzheimer, i meccanismi molecolari e l’esatta sequenza degli eventi che portano alla neuro-degenerazione non sono stati ancora del tutto chiariti (8).
Oltre l’invecchiamento e il sesso femminile, il terzo fattore di rischio “non modificabile” è la presenza dell’allele-ɛ4 del gene che codifica per l’apolipoproteina E (ApoE), una delle principali apolipoproteine coinvolte nel trasporto e nel metabolismo del colesterolo, sia a livello periferico che cerebrale (8). Da quando l’associazione tra ApoE-ɛ4 e malattia di Alzheimer è stata riportata per la prima volta più di 25 anni fa, sono stati condotti molti studi per comprendere quali fossero le alterazioni a livello cerebrale determinate dalla presenza di questa variante allelica. In particolare, è stato dimostrato che l’ApoE-ɛ4 favorisce l’insorgenza e la progressione della malattia di Alzheimer influendo su molti processi. Altera, per esempio, il metabolismo cerebrale del colesterolo e del glucosio, promuove la neuro-infiammazione e limita la funzionalità sinaptica (9); tuttavia, i meccanismi molecolari alla base di tali effetti non sono ancora del tutto chiari. È stato osservato che il rischio di sviluppare la malattia in presenza dell’ApoE-ɛ4 è maggiore nelle donne rispetto agli uomini; le donne con genotipo ɛ4, inoltre, si aggravano più velocemente degli uomini, e presentano più grovigli neurofibrillari e più placche amiloidi a livello cerebrale (10).
Numerosi sono i fattori di rischio cosiddetti “modificabili” che contribuiscono al determinismo della MA. Sono fattori legati allo stile di vita quali l’obesità, la sedentarietà, l’uso di sostanze voluttuarie come alcool, fumo e droghe o malattie quali l’ipertensione, il diabete, l’ipercolesterolemia, la depressione o fattori socioculturali quali la mancanza di relazioni sociali, l’isolamento, la solitudine e la bassa scolarità.
Il controllo e/o la prevenzione di questi fattori di rischio, secondo studi recenti, può contribuire a ridurre il rischio di sviluppare la MA del 40-45% e/o a rallentarne la progressione.
Dunque, una vita sana, attiva, seguendo una dieta povera di grassi e zuccheri (11), ricca di relazioni sociali ed amicali, riduce il rischio di ammalarsi di Alzheimer.
Ma perché le donne sono le “vittime” preferite dalla m. di Alzheimer?
E’ noto che la MA è due volte maggiore nel sesso femminile rispetto al sesso maschile indipendentemente dall’età e dall’aspettativa di vita, e la mortalità è circa tre volte più elevata rispetto agli uomini. Inoltre, le manifestazioni della malattia e la sua velocità di sviluppo sono diverse e più pesanti per il sesso femminile (12,13).
Negli USA i due terzi dei 5 milioni di malati sono donne e lo stesso rapporto tra i due sessi è presente nei paesi europei (donne 6.650.228 e uomini 3.130.449) (14).
La maggiore incidenza/prevalenza della MA nelle donne è sicuramente conseguenza della maggiore sopravvivenza della donna rispetto all’uomo, in Italia la spettanza di vita alla nascita nelle donne è di 86.1 anni mentre la vita media dell’uomo è di 82.1 anni. Sicuramente le modifiche istopatologiche che si verificano nel cervello che invecchia, favoriscono lo sviluppo di patologie degenerative come la MA.
Negli ultimi anni ci si è chiesti se la differenza tra i due sessi sia solo dovuta al fatto che le donne vivono più a lungo o se ci sono altri fattori responsabili del maggior impatto della MA nel sesso femminile.
E’ noto come tra i due sessi esistano differenze sia a livello genetico, biologico sociale e culturale.
Tra i fattori che differenziano la donna dall’uomo sicuramente quello ormonale è tra i fattori più importante ed in particolare il ruolo che gli estrogeni svolgono nel determinismo della malattia.
Gli estrogeni, come sappiamo oramai da molti anni, hanno una funzione protettiva sull’apparato cardiovascolare, ma negli ultimi tempi si è visto che anche l’attività cerebrale ne è influenzata. Le donne in menopausa precoce hanno un rischio più elevato di sviluppare la malattia di Alzheimer (15) inoltre, si è visto che gli uomini in terapia anti-androgenica per neoplasia prostatica, hanno un rischio maggiore per MA. La deprivazione estrogenica determina un forte impatto nello sviluppo della malattia, infatti i 2/3 dei pazienti con MA “senile“ sono donne.
Gli estrogeni, dunque, hanno una funzione protettiva nelle donne in età fertile non solo per le malattie cardiovascolari (16), ma anche per la principale malattia neuro-degenerativa.
Negli ultimi anni i ricercatori si sono concentrati sugli aspetti anatomo-funzionali esistenti nel cervello dei due sessi, ipotizzando che la diversità di incidenza/prevalenza della malattia potesse dipendere, in parte, dalle differenze riscontrate nel cervello delle donne rispetto a quello degli uomini.
I ricercatori della Vanderbilt University di Nashville, analizzando centinaia di R.M. cerebrali hanno scoperto che le donne hanno una migliore connettività tra le aree del cervello dove si forma la proteina Tau, cosa che le rende più a rischio di una diffusione più rapida e quindi di un declino cognitivo maggiore. Secondo uno studio effettuato dalla University of Pensylvania (17), il cervello dell’uomo presenta maggiori connessioni intra-emisferiche mentre quello della donna presenta maggiori connessioni interemisferiche e questo giustificherebbe le diversità di sviluppo e progressione della malattia nei due sessi.
I ricercatori dell’IBBC hanno dimostrato come l’ippocampo, organo coinvolto nella memoria e nell’orientamento spaziale, sia più sviluppato nell’uomo rispetto alle donne. La causa di questa differenza risiede verosimilmente nel maggior sviluppo dovuto allo stimolo del testosterone. Questa differenza spiegherebbe la maggiore vulnerabilità e il maggior rischio delle donne anziane a sviluppare la MA (18).
Anche altri fattori contribuiscono ad aumentare il rischio di sviluppare la malattia nel sesso femminile, quali i disturbi del sonno o condizioni patologiche che sono più frequenti nelle donne, basti pensare all’ansia o alla depressione.
Un ruolo importante per lo sviluppo della malattia nelle donne sono i fattori socioculturali: la donna per diversi motivi (gravidanze, maternità, assistenza ai propri cari, tipologia di lavoro, ecc.) ha un livello di istruzione, statisticamente, inferiore rispetto agli uomini.
Ed infine, non trascurabile è il rischio di chi si prende cura del proprio caro affetto da MA. Negli Stati Uniti si stima che siano più di 15 milioni le donne che prestano cure ed assistenza in modo “informale” a parenti e/o amici. In Italia più del 70% dei caregivers (chi si prende cura) del malato di Alzheimer è rappresentato da donne, in genere figlie in età lavorativa (40-60 anni), schiacciate dal peso dell’assistenza dei propri genitori e nello stesso tempo impegnati nel seguire i propri figli o nipoti (la generazione sandwich).
I dati ci dicono che i caregivers diun malato di Alzheimer presenta spesso ansia, insonnia, depressione ed un aumento di patologie come ipertensione arteriosa, aritmie cardiache (19).
Data la prevalenza e la gravità della MA nelle donne e gli effetti sociali che la stessa comporta (più del 70% dei pazienti con demenza sono assistite a domicilio da donne), appare evidente che la MA acquisti connotati di “genere” di tale rilievo da porre la patologia come una delle priorità sanitarie per la salute della donna (20)
Bibliografia
1. Trabucchi M. Le demenze. UTET, 2005
2. Udeh-Momoh C, Watermeyer T. Female Brain Health and Endocrine Research (FEMBER) consortium. Female specific risk factors for the development of Alzheimer’s disease neuropathology and cognitive impairment: Call for a precision medicine approach. Ageing Res Rev. 2021 71:101459.
3. Alzheimer’s Disease International, World Alzheimer Report 2022. Attitudes to dementia, ADI, London.
4 ISTAT gennaio 23
5 https://www.ISS.it
6 Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder Fifth Edition Text Revision – DSM-5-TR , APA- 2013
7.Alzheimer’s Disease International, Women and dementia, ADI, London 2023
8. Gamba P. Età, APOE e sesso femminile. L’Alzheimer è donna Ed Voglino 39-44 Sett.2024
9.Testa G, Staurenghi E, Zerbinati C, Gargiulo S, Iuliano L, Giaccone G, Fantò F, Poli G, Leonarduzzi G, Gamba P. Changes in brain oxysterols at different stages of Alzheimer’s disease: Their involvement in neuroinflammation. Redox Biol. 2016 10:24-33.
10. Yamazaki Y, Zhao N, Caulfield TR, Liu CC, Bu G. Apolipoprotein E and Alzheimer disease: pathobiology and targeting strategies. Nat Rev Neurol. 2019 15(9):501-518.
11. Ministero della Salute, (n.d.), Educazione alla corretta alimentazione: Dieta Mediterranea, Ultimo consulto:8 Novembre 2023. Retrieved from www.salute.gov.it/portale/nutrizione/dettaglio
12. Ferretti M.T., Dimech S., Santuccione Chadha A. (eds.), Sex and Gender Differences in Alzheimer’s Disease, Elsevier, 2021.
13. Mielke M.M. et al., “Consideration of sex and gender in Alzheimer’s disease and related disorders from a global perspective”, in Alzheimer’s Dement, 2022
14. Bacicalupo I. et al., «Una revisione sistematica e una meta-analisi sulla prevalenza della demenza in Europa: stime dagli studi di più alta qualità che adottano i criteri diagnostici del DSM IV», in Journal of Alzheimer’s Disease, 66 (4), 2018, pp. 1471-1481.
15. Henderson VW. Cognitive changes after menopause: influence of estrogen. Clin Obstet Gynecol. 2008;51(3):618-626. doi:10.1097/GRF.0b013e318180ba10
16.Vogel B. et al., «The Lancet women and cardiovascular disease Commission: reducing the global burden by 2030»; in The Lancet, 2021.
17. Inghalalikar M. et al., «Sex differences in the structural connectome of the human brain», in PNAS, Philadelphia 2014.
18. Torromino G. et al., «Estrogen-dipendent hippocampal wiring as a risk factor for age-related dementia in women», in Progress in Neurobiology, 2021.
19. ISS, “Differenze di genere nello stato di salute di due popolazioni di Caregiver familiari: uno studio pilota”, 2021
20. De Francia S., La medicina delle differenze: storie di donne, uomini e discriminazioni. Neos edizioni, 2020