Il pronto soccorso ospedaliero: eventi sentinella per il trattamento dell’anziano pluripatologico

Il pronto soccorso ospedaliero: eventi sentinella per il trattamento dell’anziano pluripatologico

Carmine Macchione

Introduzione

Recenti episodi, tra loro differenti sia nella sostanza che per i protagonisti impegnati, riportati dai media, non sempre in modo corretto in verità, necessitano di qualche doverosa nota di commento. Alcuni di essi riguardano l’operato dei medici nel Pronto Soccorso ospedaliero. Altri si riferiscono alla morte di due giovani donne, affette da leucemia acuta e curate con procedure della Medicina alternativa. Episodi come questi possono, e spesso lo sono, essere manipolati dai media e assumere una connotazione scandalistica. Sulla scorta di un moralismo spicciolo, viene enfatizzato il lato più appariscente che nell’uno e nell’altro caso porta ad esaltare e scatenare l’emotività del lettore.

A proposito, Galli Della Loggia, scrive che in Italia va di moda per la maggiore “un moralismo, questo volto facile e convincente delle passioni e dell’ideologia”[1]. Gli episodi descritti vengono riportati senza una concreta e seria analisi critica dei fenomeni che li hanno determinato, evidenziano anche una scarsa conoscenza della legislazione sanitaria, fermandosi a descrivere il fatto solo nella sua immediata presentazione. Giacomo Galletti scrive in un suo recente articolo che è sempre piuttosto facile criticare il dito, mentre è sempre complicato capire il valore della luna[2] E allora poniamoci alcune domande: i medici del P.S. sono responsabili di incuria, trascuratezza, carenza assistenziale nei confronti di persone anziane talora in fase terminale o no? La loro attenzione considera esclusivamente la malattia che il paziente accusa in quel momento o, invece, si rivolge al malato con maggiore empatia, rilevando l’elevato rischio della sua fragilità anagrafica? La Medicina alternativa è in grado di curare, guarire o ritardare malattie acute o croniche gravi e invalidanti? A queste domande cercheremo di dare risposte, non certamente esaustive, perché per certi versi è impossibile farlo, ma ci sforzeremo di essere il più possibile sereni, critici e realisti, rifacendoci essenzialmente sulla legislazione italiana attualmente esistente. Considerato che gli articoli in questione sono sufficientemente assimilabili per lo svolgimento e la conclusione fatale dell’evento, parleremo in questo articolo solo del primo episodio, che, anche per la lunga durata del tempo di ricovero dell’anziano in P.S., ci sembra di essere il più paradigmatico. La trattazione di entrambi verrà presentata in due distinti editoriali di ACSA Magazine

 

Primo episodio

Riportiamo alcuni titoli dei diversi giornali, fra loro del tutto sovrapponibili: Pronto soccorso: abbandonato per 56 ore, muore. Altro titolo Teramo, anziano muore in pronto soccorso: senza cure dopo 5 ore di attesa. Altri articoli di pari significato compaiono frequentemente nei media, dove non viene riportata la realtà dei fatti ma stimolata solo l’emotività e l’indignazione che la pietosa notizia può suscitare, e certamente la suscita, nel lettore. Il padre di un giornalista, affetto da tumore in fase terminale, con severi e strazianti dolori non facilmente trattabili a domicilio, viene portato al Pronto Soccorso dell’Ospedale San Camillo di Roma. Il figlio[3] denuncia che dopo 56 ore di attesa e di sosta forzata nella struttura ospedaliera, ha visto morire il genitore di “una morte senza dignità che ha aggiunto dolore al dolore, per chi deve combattere contro ogni alba, pensando possa essere l’ultima”. Il giornalista ha deciso di segnalare il caso di “malasanità” (e mala umanità) alla Ministra Lorenzin, con una lettera sostanzialmente dai toni pacati anche se sferzanti per il dolore provato per la morte del padre. Il giornalista denuncia la scarsità di informazioni da parte dei medici, che non gli hanno mai indicato la presenza di strutture dove si poteva praticare la terapia del dolore e dove avrebbe potuto ricoverare l’anziano genitore. Dopo 56 ore l’anziano muore. Il giornalista conclude la sua lettera con estrema amarezza e lucidità. Sarebbe dovuto morire a casa, soffrendo il meno possibile. E’ deceduto in pronto soccorso, dove a dare dignità alla sua morte c’erano la sua famiglia, un maglioncino e lo scotch. E’successo a Roma, Capitale d’Italia. Al dolore per la morte di una persona amata il superstite può, di solito, reagire in due diversi modi, con la depressione, colma spesso di tristezza e di sensi colpa (perché non gli sono stato più vicino per alleviare i suoi dolori?) o con una difesa paranoide che vede in negativo tutta la vicenda. Il DSM 5 (Ed Cortina, Milano, 2014), scrive che un individuo che ha vissuto la morte di qualcuno con cui aveva una relazione stretta, può presentare una delle seguenti situazioni:

1. Marcata difficoltà ad accettare la morte
2. Provare incredulità o torpore emotivo riguardo la perdita
3. Difficoltà ad abbandonarsi a ricordi positivi che riguarda il deceduto
4. Amarezza o rabbia in relazione alla perdita
5. Valutazione negativa di sé in relazione al deceduto o alla morte (senso di auto colpevolezza)
6. Eccessivo evitamento di ricordi della perdita

Va da sé che nei confronti del grande dolore del figlio che per ben 56 ore ha assistito inerme alle atroci sofferenze del padre fino all’“exitus” non c’è altro che il rispetto, la comprensione, la solidarietà e l’empatia, ma prima di gettare benzina sul fuoco e di condannare tout court i medici del P.S. è giusto inquadrare l’episodio sotto vari punti di vista.

1. Cos’è un pronto soccorso e come si svolge la sua attività
2. Quale rapporto esiste tra le diverse finanziarie e l’efficacia ed efficienza del Servizio Sanitario Nazionale?
3. E’vantaggioso ed etico inviare al P.S. un anziano oncologico in fase terminale?
4. Le cure palliative possono ridurre il burn out di un’assistenza continuativa e pesante 24 ore su 24 dei familiari?
5. Chi deve farsi carico ad attuare un proficuo e significativo counseling con la famiglia del malato?

Ad ognuna di queste domande cercheremo di dare una risposta la più chiara possibile e soltanto alla fine della discussione potremmo, forse, emettere serenamente nei confronti dei medici del P.S un verdetto di condanna, di soluzione o di sola avvertenza a far meglio.

1. Il pronto soccorso

E’ noto che il Pronto soccorso ospedaliero è quotidianamente oberato da richieste di prestazioni non sempre proprie, che inceppano e ritardano i tempi d’attesa, facendo correre il rischio all’utente di non ricevere la giusta prestazione in tempi adeguati senza dovere per il ritardo incorrere a gravi rischi per la sua salute. Il DPR 27.03.1992 ha normato le funzioni del pronto soccorso.[4] Il 17.05.1996 sulla Gazzetta Ufficiale, fu prevista, in applicazione del DPR del 92, per la prima volta in Italia, la funzione del “triage”, dal francese “trier” (scegliere, classificare), e il 7.12.2001 sulla Gazzetta Ufficiale vengono pubblicate le linee guida del “triage intra- ospedaliero”[5] che precisa come l’attività del triage si articola in

1. Accoglienza (raccolta dati e eventuale documentazione medica, informazioni degli accompagnatori, rilevamento parametri vitali e registrazione.)
2. Assegnazione codice di gravità (i codici di gravità sono stati definiti dal DMS 15. Maggio 1992, articolati in quattro categorie, identificabili dal colore
3. Codice rosso: molto critico, pericolo di vita, , priorità massima, accesso immediato alle cure
4.Codice giallo: mediamente critico, presenza di rischio evolutivo, possibile pericolo di vita
5. Codice verde: poco critico, assenza di rischi evolutivi, prestazioni differibili
6. Codice bianco: non critico, pazienti non urgenti
7. Gestione dell’attesa: i pazienti in attesa della vista medica possono variare (migliorare o peggiorare) le proprie condizioni cliniche, è quindi parte integrante dell’intero processo di triage la rivalutazione periodica della congruità dei codici assegnati.

Le Linee guida del 2001 confermano che il triage deve essere svolto da un infermiere sempre presente nella zona di accoglimento del pronto soccorso e in grado di considerare i segni e i sintomi del paziente per identificare condizioni potenzialmente pericolose per la vita e determinare un codice di gravità per ciascun paziente. In definitiva il percorso che un paziente può fare, una volta arrivato in pronto soccorso, si articola in varie fasi tra loro strettamente correlate, che passano dall’accesso con registrazione dei suoi dati, al triage infermieristico che determina la priorità d’accesso, lista d’attesa, gestione del paziente. Il percorso assistenziale prevede la stabilizzazione clinica, la pianificazioni di indagini diagnostico-terapeutiche, la necessità di un ricovero in medicina d’urgenza o la dimissione con invio al domicilio. Per pazienti acuti in condizioni instabili, ma non immediatamente necessitanti di terapia intensiva può essere attuata in pronto soccorso l’Osservazione Breve Intensiva (OBI), la cui durata varia da un minimo di sei ore a un massimo di 24 ore. Purtroppo se esiste una “malasanità”, e può esistere, esiste anche il “male abuso” da parte della popolazione che per ogni malanno, anche il più semplice e temporaneo, ritiene di dover andare in pronto soccorso dove sicuramente gli sarà praticato un Ecg e qualche esame di laboratorio, eliminando, in tal modo i lunghi tempi di attesa che una richiesta presentata agli sportelli ASL comporterebbe. Voglio subito precisare in questa sede che la cause di maggiore sovraffollamento, che in seguito preciseremo in dettaglio, non sono nella maggioranza dei casi determinate dai medici di famiglia ma dalla cattiva auto prescrizione della popolazione in generale. Le cause più frequenti del sovraffollamento di un pronto soccorso possono essere le seguenti:

1. Crisi del medico di Medicina generale
2. Ricorso all’ospedale per esami diagnostico strumentali
3. Ricorso allo specialista per patologie d’organo o di settore
4. Lunghe liste d’attesa presso gli ambulatori ASL
5. Quota di popolazione fragile, debole e abbandonata
6. Quota di extracomunitari

Il Codice di deontologia medica, approvato il 18 maggio 2014, all’art. 3 vengono riportati i doveri generali e competenze del medico[6] e all’art. 39 vengono stabilite le modalità dell’assistenza al paziente con prognosi infausta o con definitiva compromissione dello stato di coscienza.

2. Rapporto tra DEF e SSN

In una fase storica in cui alla cronica crisi economica finanziaria globalizzata, dove a soffrirne maggiormente sono gli Stati con elevato debito pubblico, le prestazioni sanitarie sono fortemente penalizzate. Il Decreto di Economia e Finanza (DEF) 2014, infatti, non prevede una concreta manovra economica per il comparto della sanità, ritenendo che la sostenibilità del SSN, nel medio lungo periodo, si basa sul ripensamento dell’attuale modello di assistenza, con l’obiettivo di garantire prestazioni rivolte a chi ne ha effettivamente bisogno. Il SSN va pertanto ripensato in un’ottica di sostenibilità ed efficienza. Purtroppo gli amministratori, cercando di razionalizzare la spesa pubblica, come previsto dalla Spending review, non hanno mai chiarito se i risparmi ricavati sarebbero poi reinvestiti nel Ssn. Un sistema è sostenibile ed efficace se ad ogni livello, ospedaliero e territoriale, esiste una forza operativa che lo rende tale. Ma le sedi operative del Ssn, ASL, Regioni, non sembrano di questo avviso e da anni si assiste ad un impoverimento delle piante organiche delle diverse divisioni ospedaliere con un rapporto 5 a 1: per cinque unità che andavano in pensione se ne poteva assumere solo una. Successivamente c’è stato il blocco ulteriore del turn over e le nuove assunzioni devono essere approvate solo con deroga regionale. Tutto ciò premesso, per sottolineare come i medici e gli infermieri sia nei reparti che in pronto soccorso risultano insufficienti in relazione ai bisogni e alle piante organiche definite, col risultato di compromettere l’efficienza del servizio, aumentare l’insoddisfazione degli utenti, creare situazioni di turbolenza e aggressività nei confronti del personale di assistenza e, non ultimo, generare un burn out negli operatori stessi.

3. E’ vantaggioso ed etico inviare un anziano in fase terminale in pronto soccorso?

Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) garantisce alle persone non autosufficienti e in condizioni di fragilità percorsi assistenziali nel proprio domicilio denominati “cure domiciliari”. Le cure domiciliari possono essere definite come “una modalità di assistenza sanitaria e sociale erogata a domicilio del paziente in modo continuo ed integrato, al fine di fornire cure appropriate, da parte del medico di famiglia e di altri operatori (medici, infermieri, terapisti della riabilitazione, operatori sociali) dei servizi territoriali ed ospedalieri e delle associazioni di volontariato, secondo le necessità rilevate”.

L’OMS già negli anni ’60 aveva affermato che il domicilio era il luogo di cura più idoneo e valido per curare un anziano. Affermazione questa che non molto più tardi fece l’Unione Europea.[7] ‘Paola Lazzarini afferma che “ciascuna persona resta la prima responsabile di se stessa finché conserva capacità di discernimento. Perdere il controllo del proprio corpo non può e non deve significare essere espropriati del proprio sé, diventando semplice oggetto di assistenza”.[8] Il progetto obiettivo per la popolazione anziana, previsto dal piano sanitario, distingue diversi tipi di intervento per l’Home care: l’assistenza domiciliare programmata con prestazioni svolte dal medico di medicina generale per soggetti con patologie croniche da controllare periodicamente; l’ADI, Assistenza Domiciliare integrata, a cura del Medico di Medicina generale per anziani gravi; l’OD, Ospedalizzazione a domicilio, svolta da una struttura di Geriatria ospedaliera con l’obiettivo di attuare un precoce reinserimento della persona nel suo ambiente sociale e familiare dopo il ricovero in struttura ospedaliera o l’accesso in pronto soccorso, assicurando a livello domiciliare cure sanitarie anche complesse, come quelle fornite in ospedale; il servizio di assistenza domiciliare (SAD) di competenza del Comune che fornisce all’anziano interventi di sostegno nelle attività della vita quotidiana e nella cura della propria persona. La Commissione Economica per l’Europa recita che “la gestione dei servizi sanitari dovrebbe rispettare il principio che il sistema delle cure primarie debba giocare un ruolo preminente, mentre l’invio alle cure ospedaliere di secondo e terzo livello dovrebbe essere limitato ai casi che richiedono competenze e attrezzature specialistiche”[9] Ciò significa che un anziano dovrebbe essere curato preferibilmente a domicilio, a meno che non sia presente un’acuzie (IMA, frattura di femore o di altro segmento osseo, grave insufficienza respiratoria, severo scompenso diabetico, dolore incoercibile) , che, non può essere trattata in modo idoneo in tale sede dal medico generalista e consiglia un ricovero ospedaliero nell’ottica di un efficiente servizio a rete. A conferma che molte patologie, anche complesse, possono essere curate al domicilio dell’anziano, il servizio di OD della struttura complessa universitaria dell’Ospedale Molinette di Torino cura al proprio domicilio perfino gli anziani con ictus ischemico, previo accordi con i medici del pronto soccorso. Va da sé che la decisione del sanitario di curare l’anziano presso il suo domicilio sarà facilitata e/o guidata da due condizioni: in primis, la presenza di una famiglia disposta a trattenere il congiunto con malattia cronica invalidante o con riacutizzazione di una di una delle sue malattie croniche; in secundis, la presenza a rete di tutti i servizi di home care e dell’aiuto sociale. La mancanza di queste condizioni porta al fallimento del servizio domiciliare, al conseguente ricovero ospedaliero o addirittura alla istituzionalizzazione in una RSA dell’anziano disabile. In ultimo, ove possibile, è indispensabile sentire anche il parere e l’opinione dell’anziano sulle tipologie di cura che devono essere attuate nei suoi confronti, ricordando sempre il pensiero di Adler che sottolinea come l’anziano preferisca sempre rimanere il più possibile e il più a lungo nella propria casa.[10]

Già la Legge 833/78 istitutiva del SSN promuoveva il concetto di cure vicine al luogo di vita del paziente attraverso la “medicina primaria” (Medico e Pediatra di famiglia scelti liberamente dal cittadino). Il Progetto Obiettivo “Tutela della Salute degli anziani 1994-1996” indicava come prioritaria l’attivazione dei servizi di Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) e di Ospedalizzazione Domiciliare (OD). Il DPCM del 29 novembre 2001 – Definizione dei Livelli essenziali di Assistenza (LEA), inserisce le cure domiciliari nell’ambito dell’assistenza distrettuale da attuarsi secondo diverse tipologie di attività: assistenza programmata a domicilio (assistenza domiciliare integrata-ADI, assistenza domiciliare programmata -ADP, assistenza infermieristica territoriale e OD ove questo esista), attività sanitaria e sociosanitaria domiciliare rivolta a pazienti in fase terminale, attività sanitaria e sociosanitaria domiciliare rivolta a persone affette da HIV. I successivi Piani Sanitari Nazionali ribadiscono che l’assistenza domiciliare nelle sue varie forme (ADI, ADP, OD) rientra nei livelli essenziali e uniformi di assistenza e deve essere garantita in uguale misura ed intensità su tutto il territorio nazionale. L’assistenza domiciliare, in quanto servizio compreso nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), dovrebbe essere in grado di garantire una adeguata continuità di risposta sul territorio ai bisogni di salute, anche complessi, delle persone fragili, anziane e non, ai fini della gestione della cronicità e della prevenzione della disabilità. Purtroppo, la realtà è molto più complicata e contraddittoria.

Dicevamo che una delle condizioni per mantenere l’anziano disabile presso il proprio domicilio è la presenza di una famiglia disposta a fare da ammortizzatore sociale di riserva. Al di la delle buone intenzioni non sempre ciò è possibile. E’ indispensabile, intanto, che il coniuge anziano sia “sano” e capace di sobbarcarsi il peso gravoso dell’assistenza, che l’abitazione disponga di spazi architettonici idonei, con caratteri distributivi agibili e percorribili da eventuali ortesi (girello, carrozzina), con ambienti opportunamente modificati e adattati all’impairment dell’anziano, che disponga di un benessere economico da permettersi di assumere un personale generico di assistenza (badante) in grado di ridurre il burn out dei componenti della famiglia stessa. Purtroppo in Italia le famiglie benestanti in grado di attuare una funzione di protesi assistenziale autogestita sono la minoranza. Secondo l’Istat in Italia nel 2015 la stima delle persone a rischio di povertà o esclusione sociale è al 28.7% e la povertà assoluta coinvolge il 6.1% delle famiglie residenti. Ne discende che le sacche di povertà, specie nelle grandi città sono più evidenti che altrove e che gli anziani rappresentano la parte più significativa della popolazione povere. In conclusione, che la famiglia sia ricca o povera, composta da pochi o molti elementi, in abitazioni idonee o disagiate dovendo assistere nel proprio domicilio un congiunto disabile, ha bisogno di una relazione d’aiuto che deve essere fornita da un counselor[11]. Questi è un professionista, con diploma triennale, che mediante ascolto, sostegno e orientamento aiuta a migliorare le relazioni interpersonali e nello specifico ammortizza il burn out dei familiari, spiega i comportamenti più giusti da attuare nei confronti del congiunto disabile, chiarisce gli atteggiamenti di quest’ultimo, favorendone la gestione da parte del caregiver. Il counsiling, che trova in Carl Rogers, uno dei padri fondatori, è definito come una situazione in cui calore umano, accettazione incondizionata e assenza di ogni pressione personale da parte del Counselor,permette l’espressione più libera di sentimenti, comportamenti e difficoltà da parte del Cliente. Il counseling è una professione svolta ai sensi della Legge n,4,14 Gennaio 2013[12]

Discussione e conclusioni

Il 10 ottobre 2007 il Ministro della Sanità ha firmato il decreto di istituzione del Sistema Nazionale di Riferimento per la Sicurezza dei pazienti, che, fra l’altro, risulta una componente strutturale dei LEA. L’istituzione del sistema informativo per il monitoraggio degli errori in sanità (SIMES) comprende il flusso informativo per gli eventi sentinella, definiti come eventi avversi di particolare gravità, potenzialmente evitabili, che possono comportare morte o grave danno al paziente e che determinano una perdita di fiducia dei cittadini nei confronti del servizio sanitario. Il protocollo ministeriale è stato aggiornato nel mese di luglio 2009 e condiviso con il Coordinamento delle Regioni e Province autonome per la sicurezza del paziente. Il professor Gregg Bloche, professore di Legge presso la Georgetown University ed uno dei massimi esperti internazionali di diritti e politiche sanitarie, ha pubblicato recentemente un articolo su New England Journal of Medicine[13] in cui afferma che gli scandali rappresentano eventi sentinella, indicatori del rischio e sono un indubbio segnale di allarme dell’errata programmazione dell’offerta dei servizi a livello sia finanziario sia organizzativo. La tesi di Bloche sottolinea il tema delle distorsioni nella qualità e equità delle cure causate dalla riduzione delle risorse. Tali argomentazioni sono state riprese poco dopo la pubblicazione dell’articolo di Bloche dal prestigioso King’s Fund che ha redatto un dettagliato report sulle conseguenze dell’assistenza secondarie alle restrizioni finanziarie[14]

Un anziano muore dopo essere stato ricoverato per 56 ore in un pronto soccorso della Capitale. Il figlio si rammarica per aver visto il genitore morire senza dignità, mal intesa e mal considerata dal personale operante in quei momenti nel pronto soccorso. Questo episodio deve essere considerato un evento sentinella? Certamente sì. La prolungata permanenza dell’anziano oltre le 24 ore è comunque indice di un disservizio e di una inadeguatezza del sistema, anche se si possono addurre alcune giustificazioni secondarie al de-finanziamento del Sistema sanitario, che comporta un super lavoro da parte del personale del pronto soccorso a discapito della qualità e efficacia del servizio. Per migliorare il servizio sanitario inglese in una fase storica di crisi economica e di ridotte risorse economiche erogate il The King’s Fund propone sei vie: Deflection, Delay; Denial; Selection; Deterrence; Dilution. Le prime cinque categorie indicano una limitazione all’accesso alle cure, mentre l’ultima è relativa alla riduzione della qualità delle cure stesse. Il caso da noi valutato è da considerarsi evento sentinella ancora prima del ricovero dell’anziano nel pronto soccorso in quanto la famiglia è stata lasciata sola e non le è stata data alcuna informazione sui servizi esistenti sul territorio per la terapia del dolore (Deterrence). Vogliamo sottolineare che il medico di famiglia ha la responsabilità globale dell’assistenza, anche se deve necessariamente per motivi di competenza passare la mano all’oncologo se il suo paziente presenta una malattia tumorale ed è in trattamento chemioterapico. Sempre il medico di famiglia può considerare, anche in queste circostanze, che l’assistenza al domicilio possa essere considerata più idonea, efficace e accettata dal paziente e dalla famiglia, attuando con l’aiuto di altro personale specializzato alcune procedute di cure palliative. Ricordiamo che per cura palliativa si intende l’insieme di interventi volti a alleviare sintomi fisici (dolore, nausea costipazione, vomito, disturbi cardiaci o respiratori), psicologici (ansia, paura, panico, depressione, irritazione, rabbia) e spirituale (richieste di supporto religioso). Se queste vengono attuate producono indubbiamente ristoro al paziente e soddisfazione nel nucleo familiare. Nella fase di ricovero, poi, a difesa degli operatori bisogna considerare il super affollamento e il loro ridotto numero, che causano l’aumento dei tempi d’attesa per una vista medica, la difficoltà nel dover selezionare i pazienti urgenti con il rischio di ritardarne un intervento.

Il Ministero della Salute nel febbraio del 2013 ha emanato le raccomandazioni n.15 per prevenire morte o grave danno conseguente a una attribuzione sottostimata del codice di triage sia del 118 sia all’interno del pronto soccorso per prevenire morte o grave danno. Non conosciamo il tipo di colore che il triage ha assegnato al paziente al momento del suo ingresso in pronto soccorso, ma è noto che i possibili errori del triage sono una errata valutazione dei segni di criticità alla porta; una incompleta raccolta dei dati che si configura come omissione di atti d’ufficio; una decisione personale del triage con possibile attribuzione ad un codice sovrastimato o sottostimato; la mancata rivalutazione : il super affollamento e il ridotto numero degli operatori. Secondo “le vie” del King’s Fund un paziente può rimane più a lungo in pronto soccorso prima ancora che gli sia stata fatta una diagnosi o attuata un’adeguata terapia (Delay) anche se i servizi si sforzano di impiegare lo staff o consolidare e adeguare i locali e le attrezzature necessarie a trattare tutti coloro che necessitano di una cura in tempi brevi. Rispettando la professionalità del personale medico e infermieristico non penso che nei confronti del nostro anziano sia stata attuata una procedura “di abbandono”, per il malaugurato pregiudizio “tanto è vecchio”. Una persona, specie se è fragile e dolorante, non può e non deve rimanere a lungo in un setting che non ha funzioni di ricovero, ma solo di diagnosi precoce, terapia tempestiva e immediato trasferimento nella divisione ospedaliera più idonea. Penso che nel nostro caso l’anziano sia stato trattato farmacologicamente in modo idoneo, ma che non sia stata presa nella giusta considerazione la sua dignità umana. Ricordiamo che della dignità umana si sono espressi varie istituzioni, dalla dichiarazione dei diritti dell’uomo del 10 dicembre 1948,[15] alla Costituzione italiana (artt. 3, 13 e 32),[16] al Consiglio d’Europa,[17] alla Convenzione sulla biomedica di Orvieto (4 aprile 1997, ratificata dall’Italia con la legge 28.03.2001 n. 145.[18]) C’è da chiedersi, se sia dignitoso che una persona, qualunque sia l’età, il genere o il colore della pelle, rimanga molto più a lungo del necessario in un luogo di cura, dove l’assistenza dovrebbe essere immediata e comunque non dovrebbe mai superare le 24 ore, senza che sia disposto un suo trasferimento in una sezione dell’ospedale più idonea o una sua dimissione al domicilio? E’ più facile per una stampa presentare un episodio come questo in caratteri cubitali e in termini quasi scandalistici, parlando sempre di malasanità perché i cronisti non sono mai stati in un pronto soccorso o in una divisione ospedaliera per osservare il lavoro massacrate e l’abnegazione empatica del personale.

Tutti possiamo sbagliare (“chi è senza peccato scagli la prima pietra”)[19] e certamente nel caso da noi esaminato ai sanitari si può rimproverare una disattenzione o una sottovalutazione della gravità della malattia di chi era affidato alle loro cure e fu mantenuto oltre misura in un luogo inidoneo, per cui penso che i sanitari abbiamo commesso una inefficienza e nei loro confronti la Direzione sanitaria debba attuare solo una segnalazione disciplinare di rimprovero.

 

Carmine Macchione
Direttore Scientifico ACSA-magazine


[1] Ernesto Galli Della Loggia: Credere, tradire, vivere. Un viaggio negli anni della Repubblica.  Ed Il Mulino, Bologna, 2016, pg 24

[2] Galletti G.: Pressione finanziaria sul sistema sanitario e salute dei pazienti. Agenzia Regionale di Sanità. Regione Toscana

[3] #malasanità#Cronaca Roma

[4] DPR 27-03.1992. Le funzioni del pronto soccorso. L’ospedale, sede di pronto soccorso, deve assicurare, oltre agli interventi diagnostico-terapeutici di urgenza di laboratorio e gli interventi necessari alla stabilizzazione del paziente, nonché garantire il trasporto protetto

[5] Il Triage è definito come lo strumento organizzativo, in grado di selezionare e classificare gli utenti che si rivolgono al pronto soccorso in base al grado di urgenza delle loro condizioni, svolto dal personale infermieristico, appositamente formato. La funzione del triage deve essere garantita in modo continuativo presso tutte quelle strutture con un numero di accesso annui superiore a 25.000.

[6] Codice di deontologia medica, art. 3: Doveri del medico sono la tutela della vita, della salute, il trattamento del dolore e il sollievo della sofferenza, nel rispetto della libertà e dignità della persona, senza alcuna discriminazione alcuna, quali che siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera. Art. 39: il medico non abbandona il paziente con prognosi infausta o con definitiva compromissione dello stato di coscienza, ma continua ad assisterlo e se in condizioni terminali impronta la propria opera alla sedazione del dolore e al sollievo della sofferenza tutelando la volontà, la dignità e la qualità di vita. Il medico, in caso di definitiva compromissione dello stato di coscienza del paziente, prosegue nella terapia del dolore e nelle cure palliative, attuando trattamenti di sostegno delle funzioni vitali finché ritenuti proporzionati, tenendo conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento.

[7] Raccomandazione del Consiglio d’Europa, Strasburgo 26-28/11/1985: Rendere estesa la possibilità di curare il paziente anziano nel proprio domicilio, ospedalizzandolo a casa.

[8] Paola Lazzarini; La non autosufficienza nella società del “bel-essere”. In: G. Lazzarini (Ed). L’home care nel welfare sussidiario, Franco Angeli, Milano 2011, pg 52-61

[9] Commissione Economica per l’Europa: Impegno 7 n.73

[10] Adler J. Admitting it is time to move is tough for all.  Special in Tribune April 13, 2008 We’ve finally realized what should have been obvious all long: Elders want the same kind of home as everyone else, or at least something a bit more like a house than a hospital. (Abbiamo finalmente compreso che quello che era ovvio fin dall’inizio: gli anziani preferiscono la propria casa come qualsiasi altro, o al massimo qualcosa più simile ad una casa che ad un ospedale)

[11] Counselor is a person whose i sto provide advice, help, or encouragement.

[12] L. 14 Gennaio 2013 n. 4: Disposizioni in materia di professioni non organizzate in ordini o collegi.

[13] N. Engl J Med: M- Gregg Bloche: Scandal as a Sentinel Event – Recognizing Hidden. Cost – Quality Trade –off. 374:11, 1001-1003, March 2016

[14] Robertson R. Sixways in which NSH financial pressures can affect patient care. Kingsfund.org.uk 31.03.2016

[15] Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana.

[16] Costituzione italiana; Art 2: la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo. Art. 3: tutti i cittadini hanno pari dignità. Art. 32, secondo capoverso: la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della propria persona.

[17] Risoluzione Consiglio d’Europa: resolus a prendre, dans le domaine des application de la biologie et de la médicine, les misures propres à garantir la dignitè de l’étre humain.

[18] Convenzione sulla biomedica di Orvieto: Art. 1: les Parties à la presente Convention protegent l’étre humain dans sa dignitè.

[19] Gv 8,7

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