La laicità del medico e la neutralità della scienza

Il medico, più frequentemente di quanto non si creda, si trova a prendere decisioni che mettono in crisi, da una parte il suo giuramento d’Ippocrate e dall’altra la sua coscienza di credente e di libera scelta.

“A volte vince davvero la verità: qualche errore ha lottato per lei”
Friedrich Nietzsche

Il medico, più frequentemente di quanto non si creda, si trova a prendere decisioni che mettono in crisi, da una parte il suo giuramento d’Ippocrate e dall’altra la sua coscienza di credente e di libera scelta. La storia del XX secolo, a proposito del progresso medico-scientifico, presenta fasi, episodi, atteggiamenti e comportamenti da parte di alcuni medici che contrastano nettamente con il concetto di laicità. Pensiamo ad alcuni medici militari nelle due guerre mondiali, o agli uomini cavia utilizzati in varie sperimentazioni da medici nazisti, complice anche l’industria farmaceutica che le aveva sponsorizzate o anche ad analoghi studi effettuati nei gulag sovietici. Ricordiamo che il Codice di Norimberga (1946 a seguito del processo ai medici nazisti) si apre con le parole “il consenso volontario del soggetto umano è assolutamente necessario”. Purtroppo, la mancanza di laicità e l’asservimento ai poteri forti hanno determinato queste orrende e nefande anomalie.

Eppure, in Europa la laicità ha origini lontane che prendono forza dalla Magna Charta Libertatum, che nel 15 giugno del 1215 John Lackland (Giovanni Senza Terra), fratello minore di Riccardo Cuor di Leone, fu costretto dai baroni a concedere e firmare. Essa prevedeva tra i suoi articoli l’habeas corpus col quale il re prometteva a ogni uomo libero: “non metteremo né faremo mettere le mani su di lui, se non in virtù di un giudizio legale dei suoi pari e secondo la legge del paese”. In tal modo, il diritto dell’habeas corpus fu un importante strumento per la salvaguardia della libertà individuale contro l’azione arbitraria dello stato.

Stefano Rodotà in una sua lezione su “Laicità e governo di vita”, scrive che la Costituzione Italiana, nel 1947, aveva riproposto una sorta di habeas corpus, attraverso un trasferimento di potere alla persona come unico responsabile nel decidere sulla sua salute e sulla propria vita, con l’Articolo 32 che “…tutela la salute come  fondamentale diritto dell’individuo… Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizioni di legge. La legge non può in nessun caso violare il limite imposto dal rispetto della persona umana”.

Negli ultimi decenni sono diventate sempre più importanti le scoperte scientifiche con ricaduta sulla loro possibile applicazione, specie nella genetica e nelle biotecnologie. Spesso l’utilizzo di queste nuove applicazioni scientifiche ha innescato conflitti talora anche molto aspri nella stessa classe medica. In Italia alcune leggi, quali la n. 194 del 22 maggio 1978 sull’interruzione volontaria di gravidanza, la n. 40 del 19 febbraio 2004 sulla procreazione medicalmente assistita o il disegno di legge n. 773 presentato da esponenti della Lega Nord sull’assistenza sanitaria agli extracomunitari in condizione di irregolarità e inoltre le disposizioni ancora non legalmente normate sul testamento biologico o sulla pillola del giorno dopo, hanno posto al medico problemi di coscienza sulle modalità del suo agire.

I comportamenti dei sanitari sono stati osservati, criticati e valutati positivamente o negativamente secondo la cultura o l’orientamento politico dei censori. I media poi, anche supportati dagli stessi sanitari, di opposta fazione, fanno lievitare i problemi togliendo loro il senso di un giudizio sereno. Il medico, si dice, deve essere neutrale, avendo giurato di “esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento”, ma questa neutralità deve esprimersi in ogni situazione, specie anche quando altri colleghi hanno opinioni diverse e/o contrarie. La laicità porta in sé il principio della tolleranza e della differenza ed esalta il riconoscimento del valore dell’altro e delle tesi dell’altro, a prescindere dall’accordo o meno con esse. Popper scriveva “non credo all’opinione diffusa che, allo scopo di rendere feconda una discussione, coloro che vi partecipano debbano avere molto in comune. Al contrario, credo che più diverso è il loro retroterra, più feconda sarà la discussione”. 

Prendiamo ad esempio il caso dell’interruzione volontaria di gravidanza o quello sulla procreazione medicalmente assistita. Abbiamo visto, e vediamo ancora, la flagellazione dei medici cattolici da parte di alcuni colleghi che si ritengono “laici”. L’art. 19 del Codice di Deontologia Medica recita “il medico al quale vengono richieste prestazioni che contrastino con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico, può rifiutare la propria opera, a meno che questo comportamento non sia di grave e immediato nocumento per la salute della propria assistita”.  Nello specifico, l’Art. 9 della legge n. 194 recita “il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte agli interventi per l’interruzione di gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza con preventiva dichiarazione. Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure previste dagli articoli 5, 7, 8. La Regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale”.

I medici “interventisti”, posto che si ritengano rappresentanti del pensiero laico, non dovrebbero sparare a zero sui colleghi “obiettori”, in quanto, se coerenti al loro pensiero, dovrebbero rispettarne le posizioni, anche non condividendole. Ricordiamo che l’aborto prima della 194 era considerato un reato, ne segue che, attualmente, la questione dell’obiezione di coscienza si può affrontare rilevando lo scontro tra due diritti (l’interruzione volontaria di gravidanza e l’obiezione di coscienza dei medici) relativi a due soggetti, entrambi titolari di diritti soggettivi riconosciuti dalla legge. Da questa considerazione discende che il medico cattolico si può appellare alla propria coscienza e rifiutare di praticare un’interruzione pur volontaria di gravidanza, anche se l’esercizio di un diritto esige una prestazione tecnica da parte di uno specialista. Tuttavia, sempre per restare nell’ambito della legalità, la domanda che si potrebbe porre uno degli aventi diritto sancito dalla legge, sarebbe: “Se io ho bisogno di un intervento specialistico, che mi è rifiutato per motivo di coscienza, questo specialista mi impedisce o no di esercitare il mio diritto?”. A questo punto, per onestà intellettuale, è necessario fare alcune considerazioni. La laicità, purtroppo, è attuata, almeno in Italia, in modo poco serio o, quantomeno, in maniera arbitraria e personale. Dopo la Revisione del Concordato del 1984 la religione cattolica non è più considerata religione di Stato per cui, sempre restando nell’ambito dell’obiezione di coscienza, se si vuole essere laici e rispettare la libertà e la coscienza di tutti, o questa viene abolita, in quanto in contrasto con una legge dello Stato o, per contro, deve essere estesa a tutti, anche, per esempio, a un medico Testimone di Geova, che non effettua una trasfusione di sangue in quanto in contrasto con la propria coscienza. 

Come appare chiaro, risolvere la questione in modo sereno è veramente drammatico. Si entra in un terreno minato, pericoloso e infido, dove ognuno rimane ancorato alle proprie idee: equiparazione embrione-persona, orrore a “uccidere vite” e via dicendo. Quale via di uscita? Non certo l’esercitare un buonismo di maniera, ma sforzarsi di essere laici tout court, nel senso che il medico deve essere tollerante, critico, antidogmatico, antirazzista, “moderno”, “curioso di cultura”; deve avere consapevolezza di far parte, volente o nolente, del “villaggio globale”, secondo l’espressione di Marshall McLuhan, dove esistono concezioni etiche diverse, religioni diverse, usi e costumi differenti, con cui è gioco forza convivere e confrontarsi, avendo certezza di non poter essere massimalista, ma di dover esercitare un sano e “non dogmatico” relativismo.

La globalizzazione impone a pensare che le cose si fanno “insieme” e per farle c’è la necessità dell’apporto di tutti. Popper ci ha insegnato che affinché nasca una cultura, Robinson Crusoe non può restare da solo ma ha bisogno di un Venerdì. John Stuart Mill scriveva nel 1859: “Le nostre convinzioni non riposano su altra salvaguardia che un invito permanente a tutto il mondo a dimostrarle infondate”. John Locke rafforzava questo concetto asserendo che “siamo costretti a scegliere non nel chiaro meriggio della certezza, ma nel crepuscolo delle probabilità”.

Carmine Macchione
Direttore Scientifico ACSA Magazine,
già professore di Geriatria e Gerontologia dell’Università di Torino

 


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