The Strategic Alliance between Clinical and Molecular Science in the War against SARS-CoV-2, with the Rapid-Diagnostics Test as an Indispensable Weapon for Front Line Doctors

Commento all’articolo di cui sopra ad opera di

Antonio V. Gaddi
Presidente Società Italiana Salute Digitale e Telemedicina
e Tommaso D. Voci
Fondatore dell’Associazione Interregionale Cardiologi e Specialisti Medici Ambulatoriali (ACSA)

La diagnosi e cura della Covid-19 -intesa come malattia virale- e l’identificazione del SARS-CoV-2 non sono la stessa cosa. Alle autorità Sanitarie Pubbliche serve monitore la pandemia identificandone la causa esatta, al Medico serve curare il malato che ha davanti, da qualsiasi malattia egli abbia, con/senza componente virale.

Per i Medici il concetto di diagnosi differenziale, atta a definire una prognosi e a proporre una terapia che migliori la prognosi stessa (o in alcuni casi che lenisca i sintomi) è obbligo primo e irrinunciabile, dal punto di vista etico, deontologico, giuridico.

Non avere compreso questo, imponendo di fatto procedure diagnostiche “uniche”, quali la RT-PCR[1], è una delle cause dell’aumento della mortalità, soprattutto territoriale, in aree lasciate colpevolmente o dolosamente prive di mezzi diagnostici. Non si tratta di pochi casi: in Italia si parla di svariate migliaia di morti in più (una quota rilevante della excess mortality)[2] e, probabilmente, di un numero ancora maggiore di persone che hanno patito per la malattia Covid e patiranno ancora per le sequele croniche.

Serve una logica nuova, unitaria, che non può essere per la gestione di una malattia unica, perché quelli che soffrono e muoiono sono uomini con tutta la loro complessità, unicità, e tutte le loro debolezze, fisiche e psichiche.

Anche per queste ragioni un gruppo di ricercatori e scienziati di diversa estrazioni (clinici, epidemiologi, informatici, biochimici, virologi, laboratoristi, e tanti altri) ha inteso pubblicare un articolo dal titolo esplicito “The Strategic Alliance between Clinical and Molecular Science in the War Against SARS-CoV-2, with the Rapid-Diagnostics Test as an Indispensable Weapon for Front Line Doctors”  per proporre un diverso metodo per pianificare le ricerche sull’uso di strumenti diagnostici per la Covidi-19, applicabile ai test sierologici, di indubbia utilità, e, in senso lato anche ad alte procedure cliniche e di laboratorio.

L’articolo è stato pubblicato molto recentemente da una prestigiosa rivista americana e vuole sancire una alleanza virtuosa tra chi studia approfonditamente la risposta immunitaria e il virus e chi, sul campo, cura i pazienti. Guai se mancasse l’accordo e l’intesa tra queste persone. Propone una logica innovativa di condurre i protocolli clinici sull’argomento e sottolinea il ruolo essenziale delle diagnosi sierologiche rapide per l’assunzione di decisioni.

Per il profano ricordiamo che in medicina il problema della sensibilità e specificità dei singoli test per singole malattie, o agenti virali, o condizioni patologiche si è sempre posto, e si pone quotidianamente per qualsiasi diagnosi di qualsiasi malattia. E, di fatto, nessun test ha sensibilità e specificità uguali perfette.

Sta al Medico, e a nessun altro, raccogliere tutti gli elementi in suo possesso (se li ha… se non gli vengono vietati per Legge… da autorità autoreferenziali, miopi e supponenti),  ragionare sulla diagnostica differenziale, e poi porre diagnosi, o, in alcuni casi, assumere comunque provvedimenti di tutela del malato in base al principio di massima beneficialità e minima maleficialità e non certo in base alla percentuale di sensibilità del test X o di quello Y o a una linea guida, ancorché utile in altre condizioni o nella “media” dei malati.

Dunque la logica di fondo è che per battere la pandemia e per curare le persone (…va da sé che i due obbiettivi non debbano essere disgiunti) non servano divieti, né schemi semplicistici basati su poche scelte diagnostiche obbligate, ma serva dare ai professionisti della salute tutte le armi possibili. Affrontare una epidemia come questa senza poter studiare la risposta immunitaria, la risposta infiammatoria e altri parametri fondamentali è una follia.

Ora in vista dei previsti peggioramenti del quadro pandemico mondiale, e quindi -necessariamente- anche nazionale, anche se non vi fosse una ripresa di contagiosità, dobbiamo preparare i nostri territori, armando i Medici di Medicina Generale, gli specialisti ambulatoriali, le farmacie, tutti i professionisti dell’area sanitaria, e non solo gli ospedali.

L’articolo citato sopra, che ha riscosso notevole successo, è orientato a guidare la ricerca sui test per diagnosticare il coronavirus e, nello specifico, sull’arma più semplice ed efficace che abbiamo (i test sierologici rapidi). Infatti se ab inizio le ricerche non sono effettuate correttamente, o si soffermano solo su alcuni aspetti di carattere regolatorio[3], se mai per ottenere permessi e consensi, non arriveremo mai a risultati utili per capire la malattia e curarla.

Basta con i decreti che interferiscono con l’azione dei Medici. Diamo loro armi, mezzi difensivi, testi e libri su cui studiare, aiuti logistici, e non divieti sotto forma di decreto.


[1] Per altro la RT-PCR presenta numerose problematicità, legate ai frequenti errori (falsi negativi a iosa), alle difficoltà tecniche di prelievo, alla scarsa efficienza in alcuni setting clinici e numerosi altri, ben descritti in letteratura

[2] La excess mortality è un fenomeno complesso sul quale la Società Italiana di Telemedicina ha attivato alcuni gruppi di studio ad hoc. Di certo comprende decessi causati da SARS-CoV-2 non diagnosticato (anche per l’assenza dei test sierologici) da decessi per mancato ricovero in Ospedale, per sottrazione delle cure, senza con questo escludere altri fenomeni più complessi

[3] A titolo d’esempio alcune autorità nazionali nel mondo accettano test solo con sensibilità e specificità del 98 % se mai senza curarsi di altri parametri fondamentali, altre pongono limiti più bassi 95,90 ecc, altri non pongono limiti.

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