Biomarcatori e scompenso cardiaco acuto

La valutazione quantitativa dell’acqua corporea ha un’importante implicazione prognostica, soprattutto in pazienti con patologie acute, quali lo scompenso cardiaco e l’insufficienza renale, al punto che in futuro potrebbe essere considerato un parametro vitale aggiuntivo.

Introduzione
Nella popolazione sana la quantità totale di acqua corporea consiste nel 60% circa del peso, ma nel corso della vita subisce delle modificazioni determinate dall’età, dalla quantità di tessuto adiposo e dai cambiamenti ormonali. La quantità totale di acqua corporea è continuamente controllata da un fine meccanismo omeostatico che ne regola l’introito e l’escrezione, principalmente attraverso la minzione, la respirazione e la sudorazione (1).
Nonostante l’acqua si sposti continuamente tra le cellule, per una semplificazione tecnica, si considera suddivisa in due compartimenti principali: il compartimento intracellulare, che comprende i 2/3 dell’acqua totale ed è contenuto all’interno delle membrane cellulari, e quello extracellulare, che può essere ulteriormente suddiviso in fluidi interstiziali e intravascolari (2).
La valutazione quantitativa dell’acqua corporea ha un’importante implicazione prognostica, soprattutto in pazienti con patologie acute, quali lo scompenso cardiaco e l’insufficienza renale (3), al punto che in futuro potrebbe essere considerato un parametro vitale aggiuntivo. Tuttavia, per i medici è sempre stato difficile effettuare una misurazione rapida e oggettiva della quantità totale di acqua corporea, soprattutto in un ambiente critico, quale il Pronto Soccorso. Fino a oggi, infatti, sono stati utilizzati diversi approcci, che vanno dalla raccolta dettagliata dell’anamnesi, dell’esame obiettivo, degli esami di laboratorio e di imaging fino al gold standard, la diluizione isotopica (4), che però è molto laboriosa e non trova una facile applicazione nella pratica clinica dell’emergenza. D’altra parte, il cateterismo invasivo del cuore o dei grandi vasi permette di misurare il volume circolante e non la quantità totale di acqua corporea. In questo scenario, il ruolo dei biomarcatori associati all’analisi di bioimpedenza vettoriale (BIVA) diventa sempre più interessante e promettente, per esempio nel trattamento di pazienti con scompenso cardiaco che possono essere considerati il prototipo dello stato di iperidratazione.
L’obiettivo di questa review è descrivere i metodi non invasivi attualmente in uso per la valutazione dello stato di idratazione nei pazienti con scompenso cardiaco acuto, sottolineando il ruolo innovativo del BIVA e di alcuni biomarcatori.

Metodi classici
In questa sezione ci proponiamo di descrivere le classiche metodiche non invasive e i principali bio-marcatori utilizzati per la definizione dello stato di idratazione in pazienti con scompenso cardiaco acuto.

Anamnesi
L’anamnesi raccolta all’arrivo del paziente in ospedale ha già dimostrato la sua utilità per la valutazione dello stato di idratazione in diverse condizioni cliniche. L’ortopnea e la dispnea parossistica notturna sono considerati due sintomi cardine per l’individuazione del sovraccarico di volume associato a scompenso cardiaco acuto. Tuttavia, in uno studio su 52 pazienti con disfunzione ventricolare sinistra, Butman et al. (5) dimostrarono che solo il 50% di essi si presentava con ortopnea e solo il 35% con dispnea parossistica notturna. Allo stesso modo, in una meta-analisi condotta da Wang et al. (6) si dimostrò che sia la sensibilità sia la specificità dei più comuni sintomi dello scompenso cardiaco, hanno uno scarso valore diagnostico. Questi dati suggeriscono, quindi, l’inefficacia diagnostica di questi due sintomi, seppur tipicamente presenti nell’anamnesi di pazienti con scompenso cardiaco.

Esame obiettivo
L’esame obiettivo fornisce informazioni importanti sulle condizioni cliniche del paziente. Diversi studi hanno valutato l’efficacia dell’esame obiettivo nella diagnosi del sovraccarico di volume. La presenza del reflusso epatogiugulare e dei rantoli a livello polmonare si sono dimostrati privi di utilità diagnostica, poiché la sensibilità è, rispettivamente, solo del 37-70% e del 24-66%, ma comunque importanti per la stadiazione della gravità dello scompenso (5-8). Tra i pazienti con scompenso cardiaco congestizio esaminati nel “RESOLVD trial” gli edemi periferici erano presenti nel 21% dei soggetti con scompenso acuto, ma anche nel 10% di quelli senza episodio acuto (9). Questi risultati suggeriscono che gli edemi periferici sono presenti solo in una minoranza di pazienti scompensati e che quindi non riflettono adeguatamente lo stato di idratazione del paziente. Altri studi hanno esaminato il significato diagnostico della rilevazione del terzo tono, tuttavia, anche questo reperto si è dimostrato poco utile, perché la sua prevalenza nei pazienti scompensati è solo del 36-55% (6-9).
Complessivamente, si può affermare che la rilevanza dell’esame obiettivo nell’identificare il sovraccarico di volume è piuttosto dubbia (6,10). Stevenson et al. (11) hanno affermato che l’esame obiettivo positivo per il sovraccarico di volume (presenza di reflusso epatogiugulare, rantoli polmonari e/o edemi declivi) ha una sensibilità piuttosto ridotta (58%) nei pazienti con scompenso cardiaco e sovraccarico di volume (PCWP>22mmHg).

Radiografia tradizionale
La radiografia del torace è abitualmente utilizzata per valutare la presenza di sovraccarico di volume in pazienti con patologie acute. Gao et al. (12) recentemente hanno dimostrato l’utilità della radiografia del torace nell’identificare l’aumento dei volumi intravascolari in pazienti sottoposti a trattamento dialitico peritoneale, considerando come reperti significativi l’ingrandimento dell’aia cardiaca e del peduncolo vascolare. Tuttavia, l’accuratezza diagnostica della radiografia del torace nello scompenso cardiaco è piuttosto limitata. Ciò è stato sottolineato anche nello studio ADHERE (Acute Decompensated Heart Failure Registry), che analizza la frequenza di re-ospedalizzazione in 86.376 pazienti con diagnosi di scompenso cardiaco. Si è così potuto evincere che solo il 13% dei pazienti presentava all’ammissione una radiografia del torace positiva, mentre il 23% aveva una radiografia del torace negativa (13). Nonostante la radiografia del torace continui a essere effettuata comunemente nel Pronto Soccorso per supportare la diagnosi di scompenso cardiaco, ancora non ne è stato confermato, con chiarezza, l’eventuale vantaggio diagnostico. Tuttavia, un parametro importante della radiografia del torace è la larghezza del peduncolo vascolare, che ha mostrato di avere una differenza statisticamente significativa (p<0,0004) tra pazienti con scompenso cardiaco e controlli sani (14).

Ecocardiografia
Le Linee Guida emanate sia dalla European Society of Cardiology (ESC) (15), che dall’American College of Cardiology/American Heart Association (ACC/AHA) (16) riconoscono l’ecocardiografia come l’unico strumento diagnostico efficace nello scompenso cardiaco. L’ecocardiografia è un metodo non invasivo, in grado di fornire dati in tempo reale sull’emodinamica cardiaca. La misurazione della pressione arteriosa polmonare, associata a insufficienza tricuspidalica, è considerata una stima della pressione atriale destra e quindi del volume circolatorio. L’ecocardiografia valuta anche la funzione diastolica e permette una classificazione della disfunzione diastolica in base alla gravità. Una disfunzione diastolica lieve è caratterizzata da una riduzione della velocità del flusso proto-diastolico (onda E) e da un maggior contributo della contrazione atriale (onda A) nel riempimento del ventricolo sinistro (E/A<1). Una disfunzione diastolica moderata presenta invece un incremento della pressione atriale sinistra all’inizio della diastole e una velocità di flusso proto diastolico con valori quasi normali (E/A=1-1,5). Si parla di disfunzione diastolica grave quando la pressione atriale sinistra è così elevata che il flusso proto-diastolico è molto rapido e le pressioni nell’atrio e nel ventricolo sinistro si normalizzano rapidamente durante le fasi precoci della diastole (E/A>2). In accordo con le Linee Guida della Società Americana di Ecocardiografia (ASE), la frazione d’eiezione (FE) misurata con il metodo bimodale è considerata patologica se <55% (16). Un altro importante parametro ecocardiografico è la misurazione del diametro della vena cava inferiore (VCI), considerata una stima del volume circolatorio. Tale misurazione è sempre più diffusa nella pratica clinica, soprattutto grazie alla recente introduzione dei dispositivi ecocardiografici portatili. Essa si basa sul calcolo della differenza del diametro della VCI durante l’inspirazione e l’espirazione, fase in cui l’aumento della pressione toracica permette di valutare il diametro massimo. In uno studio su 35 pazienti con insufficienza renale cronica in terapia emodialitica si è osservata una riduzione del diametro della VCI proporzionale alla riduzione del volume circolatorio, indotto dall’emodialisi (17). Un simile studio condotto su donatori di sangue ha confermato che dopo la rimozione di 450mL di sangue  si ha un’evidente riduzione del diametro della VCI, da 17,4 a 11,9mm in espirazione (p<0,0001) e da 13,3 a 8,13 mm in inspirazione (p<0,0001) (18). Questi risultati hanno confermato l’efficacia dell’ecografia della VCI nell’identificare cambiamenti anche lievi del volume circolatorio. Tuttavia, è importante sottolineare che la misurazione del diametro della VCI fornisce informazioni sul volume circolatorio, ma non sulla quantità totale di acqua corporea.

Ecografia Toracica
L’ecografia toracica è una tecnica di imaging relativamente nuova, utilizzata per valutare la presenza di edema interstiziale e/o alveolare polmonare in pazienti con sovraccarico di volume principalmente associato a scompenso cardiaco. Si basa sul riconoscimento di particolari artefatti ecocardiografici, chiamati linee B o comet tail, decritti per la prima volta nel 1997 da Lichtenstein et al. (19).
Liteplo et al. (20) giunse alle stesse conclusioni mediante uno studio su 100 pazienti, chiamato Emergency Thoracic Ultrasound in the Differentiation of the Etiology of Shortness of Breath Study (ETUDES). I risultati di questo studio dimostrarono che un’ecografia toracica positiva ha un LR (likelihood ratio) del 3,88 (99% CI 1,55-9,73) per la diagnosi di scompenso cardiaco mentre l’assenza del reperto ha un LR 0,5 (99% CI of 0,30-0,82) per l’esclusione della diagnosi, riconoscendo così l’efficacia dell’ecografia toracica nell’identificare una condizione di sovraccarico di volume associata a scompenso cardiaco.

Diluizione isotopica
Gold Standard per la misurazione della quantità totale di acqua corporea
La diluizione isotopica costituisce ancora il gold standard per la misurazione della quantità totale di acqua corporea (21,22). Gli strumenti radio isotopici basano la loro valutazione sulla somiglianza strutturale tra gli isotopi (D2O, 3H2O, H218O) e l’acqua. In breve, vengono immessi nel corpo un dato volume e concentrazione di isotopo, poi, dopo opportuno intervallo di tempo necessario per il raggiungimento dell’equilibrio, viene calcolata la nuova concentrazione in un campione di liquido (sangue, saliva, ecc.). La stima della quantità totale di acqua corporea si basa quindi sulla percentuale atomica di radioisotopo nel campione, considerata proporzionale all’acqua (23). Sebbene il test risulti accurato per la valutazione della quantità totale di liquidi, esso è raramente utilizzato a causa della lunga attesa (talvolta superiore alle 6 ore) necessaria per il raggiungimento dell’equilibrio (24,25). Pertanto, risulta ancora necessario trovare uno strumento di misurazione accurato ma anche pratico e realizzabile in tempi brevi.

Biomarcatori ed esami di laboratorio
Il gruppo di lavoro del National Institute of Health (NIH) ha correttamente definito il marcatore biologico come “una caratteristica, misurabile oggettivamente e utilizzabile come indicatore di processi sia fisiologici, che patologici e come indicatore della risposta alla terapia” (26).
In accordo con questa definizione i biomarcatori sono oggi correntemente utilizzati nei Dipartimenti di Emergenza per il loro riconosciuto valore sia diagnostico (27), che prognostico (28) in diverse condizioni cliniche, quali l’infarto acuto del miocardio, l’insufficienza renale acuta (29), la pancreatite acuta (30), la pre-eclampsia (31), l’ictus (32), e lo scompenso cardiaco cronico e acuto (33).
Attualmente sono diversi gli indici sierici utilizzati per valutare le alterazioni dello stato d’idratazione. Tra di essi, uno dei più importanti parametri è la concentrazione di sodio, che risulta ridotta nello scompenso cardiaco secondariamente a un’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone (34). Uno studio su 66 pazienti con scompenso cardiaco cronico e iponatremia ha mostrato che l’iperattivazione neuro-ormonale si associa a una necessità di dosi maggiori di diuretico per ottenere uno stato di compenso (35). L’iponatremia grave è inoltre associata a una peggiore prognosi nei pazienti con scompenso cardiaco ed è considerata nelle Linee Guida dello scompenso cardiaco un fattore prognostico negativo (36).
Anche le variazioni dell’ematocrito possono riflettere i cambiamenti dello stato d’idratazione, soprattutto in casi in cui l’ematocrito è aumentato e il volume plasmatico è ridotto. Nonostante sia stato dimostrato che l’ematocrito correla con l’introito e con l’escrezione di acqua (37), lievi o moderate riduzioni della quantità totale di acqua corporea non possono essere rilevate mediante il solo ematocrito (38).
Livelli di acido urico >9,8 mg/dL influenzano la prognosi dei pazienti con scompenso cardiaco. L’iperuricemia riflette un aumento dell’attività della xantina-ossidasi, che induce stress ossidativo con conseguente peggioramento delle condizioni cliniche (39).
Per quanto riguarda i biomarcatori, l’accuratezza del Peptide Natriuretico Atriale (BNP) nella diagnosi, nel monitoraggio e nella prognosi dello scompenso cardiaco acuto è ormai stata ufficialmente confermata da diversi studi internazionali. Il BNP è l’ormone attivo, costituito da 32 aminoacidi, mentre il N-Terminal pro-brain natriuretic peptide (NT-Pro BNP) è la forma inattiva, composta da 76 aminoacidi. Sono entrambi prodotti dal cuore in risposta a un sovraccarico di pressione e/o di volume e il loro aumento è proporzionale alla disfunzione sistolica e diastolica. In pazienti con dispnea acuta i valori di cut-off tradizionalmente stabiliti sono <100 pg/mL (NT-Pro BNP <400 pg/mL) per escludere la diagnosi di scompenso cardiaco e >400 pg/mL (NT-Pro BNP >2000 pg/mL) per confermarla, mentre i valori compresi tra 100 e 400 pg/mL (tra 400 e 2000 pg/mL per NT-Pro BNP) sono considerati nella cosiddetta “zona grigia” e richiedono ulteriori approfondimenti diagnostici (40).
Limitazioni nell’impiego di questi peptidi natriuretici emergono in alcune condizioni cliniche, come l’insufficienza renale, l’obesità e la fibrillazione atriale. Recentemente è stato studiato anche il pro-BNP, il precursore di 108 aminoacidi che è anch’esso considerato un biomarcatore sensibile e specifico per l’identificazione della disfunzione sistolica (41,42).  L’applicazione dei peptidi natriuretici, tramite il test point-of-care, nella pratica clinica di tutti i giorni consente un indiscutibile miglioramento della gestione del paziente, consentendo una stratificazione del rischio già nel Dipartimento d’Emergenza, una predizione della mortalità e della re-ospedalizzazione e, inoltre, permette un monitoraggio continuo della terapia (43,44).
È stato studiato anche il ruolo di un altro biomarcatore, chiamato Mid-Region pro-Atrial Natriuretic Peptide (MR-proANP) (cut-off di 120 pmol/L) che, non solo ha un’accuratezza nella diagnosi dello scompenso cardiaco acuto paragonabile al BNP, ma è anche particolarmente utile in caso di pazienti obesi e con alterata funzionalità renale o nei quali il valore del BNP si trovi nella sopraccitata zona grigia e quindi non sempre dirimente dal punto di vista diagnostico (45,46).
Recentemente, nella gestione del paziente con scompenso cardiaco acuto è stata provata l’utilità di altri nuovi e promettenti biomarcatori ed è stato proposto da diversi autori un approccio con un multimarkers panel, un pannello di biomarcatori, per riconoscere rapidamente ed efficacemente le differenti cause di dispnea acuta (47).
Gli ultimi risultati derivati dal Biomarkers in Acute Heart Failure (BACH) trial hanno sottolineato il ruolo di nuovi biomarcatori, come la Procalcitonina (PCT), che è stata studiata in particolare per la sua utilità nella diagnosi di polmonite in pazienti con scompenso cardiaco acuto. Livelli elevati di PCT (>0,21 ng/mL) sono correlati a una prognosi negativa nei pazienti non in terapia antibiotica (p=0,046), mentre bassi livelli di PCT (<0,05 ng/mL) sono correlati a una prognosi migliore (p=0,049) (48).
Un altro risultato interessante del BACH trial, eseguito in 15 centri, ha identificato nel Mid-Region pro-Adrenomedullin (MR-proADM), precursore dell’adrenomedullina, un predittore di mortalità a 14 giorni più affidabile, con un’area sotto la curva (AUC)  di 0,742, rispetto ad altri biomarcatori, come BNP (0,484) e NT-proBNP (0,586) (49).
Un altro promettente biomarcatore è la Copeptina, la porzione C-terminale del pro-ormone della vasopressina. Essa è considerata un predittore indipendente di mortalità a breve termine (30 giorni) nei pazienti con scompenso cardiaco acuto (p<0,0001). Il valore prognostico della Copeptina (> 54,2 pmol/L) è stato valutato, sia da solo, che in associazione al BNP e al NT-proBNP  mostrando una AUC rispettivamente di 0,83, 0,76 e 0,63 (50). Infine, una sub-analisi del BACH trial ha evidenziato che la combinazione di MR-proADM e Copeptina rappresenta il migliore predittore di mortalità a 14 giorni (AUC = 0,818), rispetto a tutti gli altri biomarcatori (49).
Il fattore solubile ST2, un membro della famiglia del recettore della interleuchina-1, è un nuovo biomarcatore associato al rimodellamento cardiaco e al sovraccarico ventricolare (51). Si è osservato che valori >10 ng/mL costituiscono un fattore prognostico negativo in pazienti con scompenso cardiaco acuto (p<0,0001) (52).
A causa della nota e complessa interazione tra cuore e reni, in pazienti critici lo scompenso cardiaco acuto è spesso complicato dall’insufficienza renale, caratterizzando una condizione clinica a elevata mortalità, chiamata Sindrome Cardiorenale (53). Classicamente, un aumento della creatinina sierica (>150 µmol/L) viene utilizzato per identificare il danno renale acuto, ma è solo debolmente associato alla prognosi del paziente (AUC = 0.57) (54).
Il  Neutrophil Gelatinase-Associated Lipocalin (NGAL) è un nuovo biomarcatore che potrebbe essere di aiuto nella stratificazione del rischio in pazienti con scompenso cardiaco acuto. Sebbene non sia assolutamente specifico per l’insufficienza renale acuta (IRA) (è infatti prodotto e rilasciato anche dai neutrofili) (55), è comunque considerato un marcatore precoce di IRA. Livelli di NGAL alla dimissione >100 ng/mL, associati o meno al dosaggio del BNP, hanno dimostrato di avere un potente valore prognostico negativo a 30 giorni (54).
Infine, uno studio preliminare ha mostrato che aumentati livelli plasmatici dell’Asymmetric Dimethylarginine (ADMA) sono forti e indipendenti predittori di mortalità a breve e a lungo termine in pazienti con scompenso cardiaco acuto (NYHA III/IV) con ridotta frazione d’eiezione (56).

Analisi di Bioimpedenza Vettoriale (BIVA)
La BIVA (57,58) è una tecnica non invasiva che consente di stimare la composizione corporea attraverso le misure bioimpedenzometriche rappresentate da:
–    Resistenza (Rz)
–    Reattanza (Xc)
–    Impedenza (Z)
Ogni struttura biologica ha una propria Resistenza, definita come la forza che un tessuto oppone al passaggio di una corrente elettrica (59). I tessuti magri e i fluidi sono ottimi conduttori poiché offrono una bassa resistenza al passaggio di corrente elettrica, mentre i tessuti grassi e l’osso sono cattivi conduttori in quanto elettricamente resistenti.  Inoltre, la Resistenza è inversamente proporzionale alla quantità totale di acqua corporea, rappresentando quindi una misura indiretta di questa.
La Reattanza invece dipende dalla presenza di induttori e di capacitori elettrolitici.
Poiché tutte le membrane cellulari agiscono come piccoli capacitori, la Reattanza può essere considerata come una misura indiretta dell’integrità e dell’attività delle membrane cellulari ed è proporzionale alla massa corporea (60,61).
Questa tecnica è stata sviluppata diversi anni fa inizialmente all’Università di Padova (57).
La BIVA è misurata con un dispositivo molto maneggevole, che può essere usato al letto del paziente (60). Per eseguire la misurazione sono necessari quattro elettrodi cutanei, due posti al polso e due sulla caviglia ipsilaterale. La misurazione avviene in pochi secondi ed è totalmente innocua per il paziente. Il liquido libero in torace e addome (congestione polmonare, versamento pleurico e ascitico, urine e cibo) non influenzano i valori dell’impedenza misurati con questa tecnica (62).
I risultati della misurazione possono essere visualizzati in due modi, ossia, come un vettore o come percentuale di idratazione derivata dai valori dei parametri misurati dal BIVA. Il primo metodo consiste in una rappresentazione diretta dell’impedenza in un grafico (Normogram) nel quale viene riportato un vettore le cui coordinate sono rispettivamente la Resistenza e la Reattanza (63). Valori di riferimento aggiustati per età, indice di massa corporea e sesso, sono  rappresentati nelle ellissi di tolleranza nello stesso sistema di coordinate. Le ellissi sono tre e corrispondono al 50°, 75° e 95° percentile del vettore nella popolazione sana di riferimento (57). L’asse maggiore dell’ellisse indica lo stato di idratazione mentre l’asse minore riflette la massa tissutale.
Il secondo metodo coinvolge una scala chiamata Hydrograph che esprime lo stato di idratazione come un numero percentuale. Questo valore è calcolato da un’equazione che utilizza i valori di Rz e Xc. Una percentuale di idratazione del 73,3% è considerata un valore normale  con una tolleranza tra 72,7% e 74,3%, corrispondenti al 50° percentile (59).
Riguardo l’interpretazione di questi valori, la lunghezza del vettore Z è inversamente proporzionale al contenuto totale di acqua corporea, mentre l’angolo di fase offre informazioni riguardo la distribuzione relativa dei fluidi. Un risultato fondamentale di diversi studi su questa tecnica è la delineazione dell’ellissi del 75% come un indicatore  di stato di idratazione al limite della norma: vettori al di sopra del polo superiore di questo ellisse indicano disidratazione, mentre quelli al di sotto del polo inferiore indicano un sovraccarico di fluidi. Perciò vettori corti con un angolo di fase piccolo sono associati a edema, mentre quelli più lunghi con un angolo di fase più grande  indicano disidratazione (57,64,65). Inoltre vettori sopra o sotto l’asse minore (cioè in alto a sinistra o in basso a destra)  sono associati con una diversa (maggiore o minore) massa cellulare. Come descritto precedentemente, i valori normali dell’idratazione sono compresi tra 72,7% e 74,3%, valori sopra o sotto questo intervallo  indicano, rispettivamente, stati di iperidratazione e disidratazione (66). Queste due classi di idratazione possono essere ulteriormente suddivise in  lieve, moderata o severa (67).
Nonostante sia una tecnica relativamente nuova, la BIVA sta diventando un metodo riconosciuto  per la valutazione del contenuto corporeo totale d’acqua (68). Molti studi sono stati finora effettuati su pazienti nefropatici cronici per valutare la validità della BIVA nel  determinare l’acqua corporea totale. In uno di questi studi, i pazienti uremici paragonati a controlli sani mostravano vettori significativamente più corti e con angoli di fase più piccoli segnalando quindi uno stato di sovraccarico di fluidi. Questi vettori, inoltre, si allungavano dopo la dialisi, dimostrando quindi l’efficacia della BIVA nel riconoscere cambiamenti rapidi nell’assetto dei fluidi dopo la dialisi. Cambi nel volume di fluido rimosso correlano significativamente con i cambiamenti delle componenti del vettore (P<0,001 nei maschi, P=0,03 nelle donne). I vettori dei pazienti emodializzati instabili dal punto di vista emodinamico comparati con pazienti stabili sono significativamente differenti, risultano infatti  più lunghi e con un angolo di fase più piccolo e questa differenza persiste dopo la dialisi (64). Risultati analoghi sono stati riscontrati in pazienti trattati con dialisi peritoneale prima e dopo la rimozione di liquido (57).  
Nuovi campi di applicazione della BIVA stanno nascendo nelle discipline di area critica. Nei pazienti ricoverati in terapia intensiva, la pressione venosa centrale (PVC) è stata correlata con l’impedenza misurata con la BIVA. I valori di PVC sono significativamente e inversamente correlati con le componenti del vettore impedenziometrico individuale (r2 = 0,28 e 0,27), con Resistenza e Reattanza, rispettivamente, e con entrambi le componenti (r2 = 0,31). Nello specifico, la PVC>12 mm/Hg è associata con vettori più corti (sotto il polo inferiore dell’ellisse del 75%) nel 93% dei pazienti, indicando così un sovraccarico di fluido. Diversamente, i  valori di  PVC <3 mm/Hg sono associati con vettori lunghi (sopra il polo superiore dell’ellisse del 75%) nel 10% dei pazienti indicando, così uno stato di disidratazione. L’aumento progressivo dei valori della PVC era associato con vettori più corti (69).
Il ruolo della BIVA unito all’ecografia toracica ha dimostrato la sua efficacia nel discriminare la dispnea acuta cardiogena da quella non cardiogena nei pazienti afferenti ai Dipartimenti d’Emergenza (sensibilità 69%, specificità 79%) (70).

Prospettive future nella gestione dei pazienti con scompenso cardiaco acuto usando Biomarcatori e BIVA in associazione
La BIVA non poteva non destare interesse nei pazienti con scompenso cardiaco acuto afferenti nei Dipartimenti di Emergenza. Uno studio del nostro gruppo (62) dimostra che le impedenze misurate con la BIVA nei pazienti con scompenso cardiaco acuto all’ingresso nel Pronto Soccorso sono statisticamente differenti paragonate ai controlli (p<0,0007). Questi pazienti hanno un valore di stato di idratazione significativamente più alto (77±4%) rispetto ai controlli (73±2%). Misurazioni sequenziali dello stato di idratazione, tramite BIVA, mostrano una diminuzione della congestione in seguito a terapia diuretica. È stata osservata inoltre una correlazione significativa con gli eventi (morte o re-ospedalizzazione) a tre mesi nei pazienti con un valore di idratazione maggiore dell’80%. È stato anche dimostrato che l’uso combinato di BIVA e BNP può migliorare la gestione dei pazienti con scompenso cardiaco nel Dipartimento di Emergenza se paragonato al BNP da solo, permettendo così un approccio diagnostico e terapeutico più veloce e accurato.
La BIVA aiuta a distinguere la dispnea cardiogena da quella non cardiogena e, in combinazione col BNP è anche molto utile al medico dell’emergenza nel pianificare i dosaggi della terapia diuretica.
Anche un altro studio sembra confermare questi dati affermando che la combinazione di BNP e BIVA può evitare la somministrazione di una terapia diuretica troppo aggressiva e non necessaria diminuendo le conseguenti complicanze renali. Inoltre la gestione dei pazienti con scompenso cardiaco acuto seguendo l’andamento dei valori di BIVA e BNP durante il ricovero è associata a minori eventi dopo la dimissione, indipendentemente da altre variabili prognostiche (66).
La valutazione del contenuto totale di acqua  ha grande utilità anche nei pazienti con Sindrome Cardiorenale, e il suo uso in combinazione con altri parametri è stato proposto come nuovo modello di valutazione diagnostica di tale sindrome nel Dipartimento d’Emergenza (71).
Come testimonia la letteratura scientifica attuale, il ruolo della BIVA nella valutazione dello stato di idratazione sta diventando sempre più importante. Le sue caratteristiche, come la rapidità e la semplicità dell’utilizzo, la non invasività e il basso costo rendono questa tecnica interessante e potenzialmente utile in moltissime branche della medicina. Ulteriori studi con gruppi  di pazienti più numerosi sono ovviamente necessari per poter formulare un consenso standardizzato e generale sull’impatto clinico della BIVA, così come per  identificare quei settings clinici dove può essere più utile utilizzare tale tecnica.
L’uso della BIVA nel guidare il trattamento in diverse patologie non è stato adeguatamente studiato. A tale proposito sarebbe interessante standardizzare l’impiego della BIVA nei pazienti con scompenso cardiaco acuto, in combinazione con biomarcatori, per definire la terapia diuretica al dosaggio più appropriato. Dati preliminari incoraggiano la ricerca in questo senso, però sono sicuramente necessarie più evidenze per creare una sorta di Linea Guida sulla BIVA correlata alla terapia diuretica. Un’altra promettente applicazione della BIVA è correlata al ruolo emergente dell’ultrafiltrazione per eliminare fluidi in eccesso nei pazienti con scompenso cardiaco acuto che non beneficiano di terapia diuretica a un dosaggio massimale. Proprio per le sue caratteristiche di velocità e semplicità nell’utilizzo, la BIVA dovrebbe essere eseguita anche negli ambulatori di Medicina Interna e di Cardiologia come mezzo di monitoraggio per i pazienti con scompenso cardiaco cronico, aiutando così la gestione di questi pazienti nel  riconoscere precocemente le riesacerbazioni dello scompenso ed evitando, ove possibile, il ricovero. La BIVA da sola non è probabilmente la risposta definitiva a tutte le domande circa lo stato di idratazione, ma sembra essere una utile e promettente tecnica di uso quotidiano, specialmente quando affiancata alla misurazione dei biomarcatori.

S. Di Somma, L. Magrini
Dipartimento di Scienze Medico-Chirurgiche e Medicina Traslazionale
UOC Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso, Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, Roma.
Università La Sapienza, Roma.

 

Dello stesso autore Nuovi biomarcatori nell’approccio diagnostico dello scompenso cardiaco in Dipartimento di Emergenza


 

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