Evoluzione giurisprudenziale della colpa medica

Riflessione sulla Medicina

Lo stato attuale dell’esercizio della Medicina, in tutti i campi dell’approfondimento specialistico, ha raggiunto un alto grado di professionalità che, grazie anche al rapido e costante avanzamento delle acquisizioni scientifiche, risponde in modo sempre più adeguato alle legittime richieste di salute della collettività.

In questa situazione, apparentemente ben bilanciata tra chi produce il bene salute e chi ne usufruisce, si osserva tuttavia l’avanzare vorticoso di un aspro contenzioso giudiziario tra questi due soggetti della società, che dovrebbero essere tra loro complementari ma che invece si fronteggiano aspramente in una posizione nella quale il medico è costretto a difendersi da accuse pesantemente mosse nei suoi confronti per insuccessi, veri o presunti, che sono comunque ed acriticamente attribuiti a colpa nell’esercizio della professione non solo in ambito risarcitorio ma addirittura sul piano penale.

Sarebbe ora qui lungo indagare le cause che sono alla base di questo deterioramento nei rapporti tra il medico ed il suo paziente, come altrettanto lungo e arduo sarebbe cercare di capire come mai in una società civile sia potuto succedere che il produttore, per disposto costituzionale, del bene salute sia additato in forma sempre più violenta e con toni spesso da delirio schizofrenico, a produttore di danni alla salute e financo di morte.

Non apriremo certo qui questa discussione lasciandola per intero a coloro, siano essi sociologi o filosofi di specchiata onestà intellettuale, di cui certamente non è carente la società, che sono deputati a spiegarci il fenomeno; e tuttavia non possiamo esimerci dal fare una riflessione al nostro interno osservando, sia pure con ogni comprensione, i cambiamenti che in questi ultimi decenni abbiamo dovuto registrare sul modo di essere medico.

E’ di tutta evidenza che il contenzioso giudiziario che coinvolge il medico sia sul piano della colpa civile che di quella penale ha una motivazione profonda nelle aspettative, spesso temerarie, di un lauto ricavo economico; ma, e lo dico in difesa dei medici, sarebbe molto pericoloso sottovalutare il fatto che una importante fonte del contenzioso risiede in alcuni, seppure sporadici ma rilevanti, comportamenti del medico che ha dimenticato gli insegnamenti di Ippocrate e quello che lui diceva quando additava la empatia quale principale fondamento dell’esercizio della medicina e della essenza stessa di quest’ultima.

Da qui nasce, ora, per il medico l’esigenza di capire quale sia stata la evoluzione del concetto di colpa medica nella valutazione della società per il tramite dei custodi delle leggi che sono gli amministratori della Giustizia.

A questo punto trattengo a stento la forte tentazione di fare qualche considerazione, che ci porterebbe molto lontano, sulla talvolta incomprensibile variabilità soggettiva di alcuni operatori della Giustizia quando si cimentano nel complesso mondo della Medicina, con le sue ragioni, con le sue leggi, con la sua umanità, che essi spesso non comprendono; scavando sempre più profondo il solco delle incomprensioni tra Diritto e Medicina: si potrebbe dire, parafrasando il grande filosofo e scienziato Blaise Pascal, la Medicina ha delle ragioni che il Diritto non comprende; ed io aggiungerei, che non può comprendere.

La colpa del medico nella professione

Proprio per questo, entrando nel merito del discorso che stiamo facendo, appare oltre modo opportuno discutere, sia pur brevemente, della evoluzione del concetto di colpa medica nella giurisprudenza.

E cominciamo col dire che cosa è la colpa quale categoria del diritto che connota il comportamento del medico. La colpa, quella nella quale può incorrere il medico nell’esercizio della professione, consiste in una condotta connotata da un errore giuridicamente rilevante. L’errore è giuridicamente rilevante quando ha caratteristiche di prevedibilità ed evitabilità; cioè a dire quando si tratta di un errore che la maggior parte dei medici, tutti valutati nelle stesse condizioni, con le stesse attrezzature, con l’identico quadro sintomatologico del paziente, non avrebbero fatto. Si tratta quindi di un errore che in tanto rileva giuridicamente in quanto risultato di una elaborazione soggettiva che il medico compie avendo di fronte il quadro sintomatologico del malato. Altro è, invece, l’errore che potremmo definire naturalistico che è fatto, si, dal medico ma che egli non aveva alcuna possibilità di evitarlo. L’esempio, teorico, di un errore diagnostico di una patologia cardiaca in atto in completa assenza di sintomi anche strumentalmente rilevabile.

Se trattasi di un errore giuridicamente rilevante devono essere indagati i motivi soggettivi dello stesso ricorrendo alle connotazioni giuridiche della colpa e cioè la imperizia, la imprudenza e la negligenza, tenendo però ben presente che in uno stesso atto medico causativo dell’errore solo una delle suddette connotazioni può esistere. Ed è facile comprendere il perché: l’imperizia è il non saper fare, la mancanza di cultura e di preparazione medica, generica e/o specialistica, l’ignoranza totale o parziale della materia su cui si opera, la mancanza di esperienza propria, l’incapacità di usufruire dell’esperienza altrui; tutto ciò rapportato al caso concreto, in una visione contingente, rappresenta il presupposto per un comportamento imperito. Ma tale comportamento non deve essere considerato in assoluto, come totale ignoranza dell’arte medica, ma deve essere interpretato come incapacità tecnica di comprendere, affrontare e superare un ostacolo che si prospetta contingentemente in modo imprevisto ed imprevedibile verso il quale il medico non possiede in quel momento, a volte in situazioni di urgenza o emergenza, complete ed adeguate conoscenze tecniche, anche specialistiche, per superare l’ostacolo ed applicare quindi la migliore medicina. E questo è il concetto di medico contingentemente imperito che non è affatto sinonimo di medico genericamente ignorante. L’imprudenza, invece, è ciò che connota la qualità del medico che opera agendo superficialmente e non prevedendo correttamente; il termine corrispettivo di prudenza deriva, per abbreviazione, da quello di previdenza che sta appunto a significare la capacità di prevedere l’evoluzione delle situazioni nelle quali ci si trova, operare quindi scelte corrette e finalizzate al meglio, identificando gli strumenti più idonei per raggiungere il fine. La prudenza del comportamento del medico si manifesta attraverso la capacità di prevedere, possedendo evidentemente le adeguate conoscenze, la evoluzione negativa che possono avere i quadri patologici o gli stati morbosi, ponendovi prontamente rimedio. La prevedibilità dell’evento negativo è, ovviamente, limitata a ciò che è umanamente prevedibile con le conoscenze che si hanno in materia e che il medico che si trova ad operare deve avere. E’, pertanto, imprudente il medico che si avventura in pratiche diagnostiche o terapeutiche poco ortodosse, non sufficientemente sperimentate o verso le quali egli non ha sufficiente dimestichezza; attua un comportamento sicuramente imprudente quel medico che si confronta con il problema, lo valuta coscientemente e con la dovuta preparazione, ma decide di operare anche se ha la coscienza che un agire spavaldo potrebbe comportare dei rischi per il paziente. Ed infine si deve intendere per negligenza, richiamando la traduzione letterale dal latino, trascuratezza, noncuranza, indifferenza, nessuna cura, mancanza di riguardo, indifferenza. Quindi, un comportamento connotato da negligenza è quello che trascura di fare ciò che dovrebbe fare, che non presta alcuna cura alle cose da fare e che è ad esse indifferente; è, in altri termini, un comportamento sostanzialmente omissivo. Il comportamento omissivo, che è il risultato non solo di scarsa dedizione al lavoro che si sta facendo ma soprattutto di indifferenza verso il malato, rappresenta quello di maggiore allarme per la collettività poiché denota preoccupanti carenze etiche del medico.

Ora tutto ciò sta a significare che quando il medico viene trascinato in giudizio sarebbe di ordinaria giustizia il costante riferimento alla necessità di indagare sul contenuto soggettivo dell’errore e non adagiarsi sulla molto più semplice constatazione dell’errore quale fatto oggettivo per stabilire la responsabilità del medico nella produzione di un danno ingiusto al paziente, sempre che si dimostri, comunque, che tra l’errore ed il danno vi sia un indiscutibile connessione causale.

Evoluzione Giurisprudenziale

Queste basi dottrinali della responsabilità professionale, e quindi anche della colpa del medico, quale evoluzione hanno avuto nella Giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, sino ad arrivare all’odierno regime dove tiene la scena la tanto attesa, ma anche tanto discussa, legge Gelli-Bianco?

La responsabilità professionale del medico, e quindi anche il concetto di colpa del medico, non hanno, in verità, avuto grande ribalta giudiziaria se non in questi ultimi anni; da quando, possiamo pensare ad una trentina di anni addietro, il paziente ha iniziato a prendere piena consapevolezza dei propri diritti costituzionalmente protetti in ambito di cura della salute; diritti che, formalmente almeno, non sembravano molto rispettati dal medico, anche se in realtà la bontà ed il livello dell’assistenza medica, compatibilmente con lo stato dell’avanzamento delle acquisizioni scientifiche in medicina, era stato generalmente sempre molto alto.

Agli albori di questo processo di presa di coscienza sociale, che ha portato successivamente ad una indiscriminata “criminalizzazione” del medico, le denunce per malasanità erano una eccezione poiché vigeva ancora il concetto della medicina esercitata in forma paternalistica con un rapporto medico paziente ancora tutto permeato da empatia e reciproca fiducia; ed anche la Giurisprudenza, adeguandosi a questo clima sociale, ha sempre valutato l’errore medico, e quindi la colpa, con una certa benevolenza, mostrando consapevolezza del ruolo del medico e delle finalità superiori perseguite dalla Medicina. Allora, infatti, dal punto di vista giuridico, il paziente che si riteneva danneggiato dall’errore medico era tenuto a provare non solo di aver subito il danno in correlazione causale con l’atto medico ma anche la condotta colposa del medico.

È durato poco questo clima perché stava avvenendo un progressivo deterioramento, in termini di umanità, del rapporto medico paziente e ciò ha comportato che il medico non è stato visto più come affidabile produttore di salute ma come distaccato professionista dotato di sempre maggiori capacità tecniche ma sempre più distante dal paziente come persona con la quale relazionarsi in una virtuosa alleanza terapeutica. Se a questo si aggiunge che di pari passo si è andato diffondendo la consapevolezza, nel paziente, che il danno, vero o presunto che fosse, di natura iatrogena poteva essere fonte di un ristoro economico, sempre più importante, ben si comprende il veloce sviluppo del contenzioso giudiziario.

La Giurisprudenza, puntuale interprete dell’evoluzione del sentire sociale ha cominciato, possiamo dire dagli anni 70 – 80, ad adeguarsi a questo mutamento del rapporto medico paziente mostrando una crescente severità verso il medico con l’introducendo nel processo penale di più stringenti modalità di valutazione della colpa professionale e criteri probabilistici per l’accertamento del nesso causale tra la condotta ritenuta erronea ed il danno al paziente. E nel processo civile si registrava la tendenza a ritenere troppo gravoso per il paziente provare sia l’errore medico sia la connessione causale tra l’assistenza medica ritenuta erronea ed il danno; e quindi una evidente difficoltà nel rivendicare la inadempienza del rapporto contrattuale.

La giurisprudenza, per questo, dà inizio ad una fase caratterizzata dalla ricerca di categorie giuridiche idonee a meglio precisare la natura giuridica del rapporto di cura cui, alla fine, è stata riconosciuta una natura contrattuale con tutte le conseguenze in ambito probatorio che hanno portato a ritenere presuntiva la colpa del medico dicendo: quando la prestazione medica è di semplice o di ordinaria esecuzione e da questa deriva al paziente un danno, si deve presumere la non corretta esecuzione della stessa.

La collettività ha subito colto questo clima per lei estremamente favorevole che ha avuto però l’effetto paradosso di far sviluppare un abnorme contenzioso giudiziario con la richiesta di risarcimenti economici troppo facilmente ottenibili ancorché spesso ingiustificati. Tutto ciò all’insostenibile prezzo di una grave compressione della dignità del medico che era tanto più operante quanto più derivante da azioni rivendicatorie del tutto temerarie, e di un esborso economico delle strutture sanitarie non più sostenibile.

Lo sviluppo di questo smoderato contenzioso giudiziario ha stimolato, negli anni, tentativi legislativi, per vero non proprio efficaci rispetto allo scopo che si prefiggevano, ma che comunque hanno subito, alla pari dei principi generali del diritto sulla responsabilità, l’azione interpretativa di una Giurisprudenza che non esiterei a definire creativa, sicuramente tesa alla ricerca degli giusti equilibri sociali, ma che in ultima analisi ha finito per squilibrare il rapporto del paziente con il medico traducendosi in una ingiusta penalizzazione di quest’ultimo.

Lo stato attuale

L’attuale regime della responsabilità medica, e quindi della valutazione della colpa nell’esercizio della professione sanitaria, è ordinato dall’ultima produzione legislativa che risponde al nome dei suoi proponenti Gelli-Bianco.

Ma prima di questa, quando ancora si era nel predetto regime della responsabilità assai penalizzante per il medico, vi era stato un tentativo di porre dei correttivi allo spropositato contenzioso sanitario attraverso la emanazione di un decreto, Balduzzi, poi tramutato dal Parlamento in legge.

Questa legge era stata a gran voce richiesta da legittime istanze di avere certezze normative capaci di prevedere e tutelare l’opera del medico riconosciuta di alto valore sociale quale strumento produttivo esclusivamente del bene salute. La normativa introduceva il concetto di colpa lieve che sostanzialmente depenalizzava l’azione erronea del medico che avesse agito con imperizia ma nell’osservanza delle linee guida.

La normativa Balduzzi non ha sortito per intero l’effetto desiderato che era quello di alleggerire il peso del contenzioso che gravava sulle spalle del medico, anche per l’effetto di una Giurisprudenza che ha interpretato molto criticamente i nuovi principi della legge, non riuscendo a chiarire la differenza tra colpa lieve e colpa grave che, al contrario della prima, manteneva la preesistente severità nella valutazione della colpa.

Oggi abbiamo una legge, l’ultima nata, comunemente conosciuta come “Gelli” dal nome di uno dei suoi propositori, che è salutata dai medici in quanto riconosciuta, a torto o a ragione, si vedrà, capace di ristabilire gli equilibri assistenziali e di ridare il giusto all’opera del medico riconoscendone la sua vera essenza e le nobili finalità che, per primaria norma costituzionale, persegue.

Io ritengo che la vigente normativa in tema di responsabilità sia benefica per il medico il quale può trarre il giusto vantaggio da una saggia interpretazione ed attuazione dei principi in essa contenuta. Il primo beneficio lo si può individuare dalla separazione, in ambito civilistico, delle posizioni di responsabilità tra medico e struttura sanitaria attribuendo a quest’ultima una responsabilità contrattuale ed al medico una extracontrattuale. Questo ha l’immediato effetto pratico di concentrare sulla struttura l’intero peso risarcitorio sia perché la responsabilità contrattuale ha un regime probatorio sicuramente più facile in quanto è sufficiente provare l’inadempimento contrattuale per avere titolo al risarcimento; e poi sono diversi i termini della prescrizione essendo quelli della responsabilità extracontrattuale di cinque anni mentre sono di dieci anni per l’altra.

Il medico può trarre beneficio da questa legge che ha introdotto la diversificazione della natura della responsabilità civilistica e che, per l’effetto, fa convergere quasi l’intero peso del contenzioso giudiziario civile sulle spalle delle strutture sanitarie dalle quali i medici, veri o presunti responsabili di errori professionali dipendono, fatte salve le possibili azioni di rivalsa. Ma il medico ha tratto beneficio, da questa nuova legge, soprattutto dal mutato regime di valutazione della colpa.

Cerchiamo di capire in che modo.

La colpa nella Legge Gelli

L’articolo 6 della legge rappresenta, in realtà, una rivoluzione nel processo di riscontro e di valutazione della colpa medica. Perché, per la prima volta da quando si discute della responsabilità professionale medica impone la necessità di valutare analiticamente i processi soggettivi che sono alla base dell’errore medico; processi, questi, che sono quelli sopra richiamati quando si è detto delle distinzioni che vanno fatte tra le diverse connotazioni della colpa, imperizia, imprudenza, negligenza.

In sostanza si ribadisce indirettamente il principio di diritto per il quale l’errore, che sostiene la condotta colposa del medico, può avvenire a causa di imperizia o di imprudenza o di negligenza, nella colpa generica, per inosservanza nella colpa specifica; ma al contempo si introduce il concetto della esclusine della punibilità per l’azione erronea connotata da sola imperizia; questo, quando c’è da parte del medico il rispetto delle raccomandazioni previste dalle linee guida e dalle buone pratiche clinico assistenziali ed a condizione che il medico, nell’applicare le linee guida ritenga che le raccomandazioni in esse contenute siano adeguate al caso concreto.

A parte la indeterminatezza del concetto di buone pratiche clinico assistenziali, che lo rende assai poco utilizzabile in diritto penale, ci siamo tutti chiesto come sia possibile ipotizzare un comportamento imperito per un medico che agisca nel rispetto delle linee guida. La risposta, abbiamo pensato, confortati poi da qualche pronuncia giurisprudenziale, poteva essere che l’imperizia si deve riscontrare nel processo di adattamento delle linee guida.

Certo. Ma subito ci siamo ulteriormente chiesti dove fosse la novità di questa legge che, in ultima e definitiva analisi, altro non ribadisce che il medico deve fare il medico, cioè deve curare il suo paziente dopo un processo cognitivo delle specificità della sua patologia che rendono il caso concreto diverso dagli altri casi; e questo altro non è che l’indispensabile processo di personalizzazione delle cure dal quale scaturisce il buon esito delle terapie: il medico deve curare la persona e non la malattia, astratta connotazione della patologia.

Colpa e linee guida

Quindi l’errore per imperizia non è non punibile quando si osservano le linee guidae le buone pratiche mediche; ma non solo, è necessario che le raccomandazioni previste dalle linee guida risultino adeguate alla specificità del caso concreto. E di questo si è detto sopra.

Ma quali linee guida? La legge Gelli fa riferimento a linee guida elaborate da enti ed istituzioni pubblici e privati nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico scientifiche delle professioni sanitarie. Le linee guida, e i relativi aggiornamenti emanati dagli stessi enti e società di cui sopra, sono integrati nel sistema nazionale delle linee guida e pubblicate sul sito internet dell’Istituto superiore di sanità.

Tutto ciò ancora non è stato ancora compiutamente realizzato anche se la legge Gelli dispone che le linee guida, come sopra elaborate, siano emanate entro novanta giorni dalla pubblicazione della legge, 17 marzo 2017; e siamo già a quasi due anni!

In attesa si continuerà a fare riferimento alle linee guida attualmente in uso, accreditate dalle società scientifiche non dimenticando, tuttavia, che quali che siano le linee guida esse hanno sempre un semplice valore indicativo e sono da considerare, come ultimamente ribadito dalla Suprema Corte, delle raccomandazioni utili a guidare il medico nella pratica clinica e non certo precise regole di comportamento. E soprattutto tenendo ben presente che la vera scriminante della legge non è rappresentata dall’errore per imperizia e dall’applicazione delle linee guida, ma risiede nel corretto adeguamento delle linee guida al caso concreto.

Colpa e consenso

La colpa medica così come l’abbiamo discussa sin qui è quella legata alla commissione di un errore od all’omissione di condotte assistenziali obbligatoriamente discendenti dalla posizione di garanzia che riveste il medico nei confronti del paziente. Ora veniamo a parlare della colpa derivante dalla omissione di raccolta del consenso del paziente all’atto medico.

Il tema, assai dibattuto in ambito di responsabilità professionale del medico, seppure antico, è stato ultimamente ripreso dalla Giurisprudenza di legittimità, quella della Suprema Corte di Cassazione, per ribadire la ricorrenza della ipotesi di responsabilità medica nei casi in cui si interviene sul malato senza il consenso dell’interessato, indipendentemente dall’errore colposo. Significa che l’atto medico non può mai prescindere dal consenso adeguatamente espresso dal paziente che deve essere preventivamente e, in carenza il paziente può richiedere al medico il danno derivante dalla lesione del diritto alla autodeterminazione.

Per altri versi la Cassazione ha ribadito un ulteriore principio secondo il quale il medico che omette di raccogliere l’espressione di volontà del paziente nell’esprimere il consenso all’atto medico, non può essere ritenuto responsabile di aver eseguito un atto medico illegittimo quando si dimostri che la prestazione sanitaria è stata correttamente eseguita e non sono derivati al paziente, se quest’ultimo non dimostra che se gli fosse stato richiesto il consenso lui avrebbe rifiutato l’atto medico proposto.

Colpa e cartella clinica

Un ultimo accenno, sempre in tema di colpa medica, deve essere fatto ricordando una recente pronuncia della Cassazione sul rapporto tra condotta colposa del medico e cartella clinica.

L’argomento è importante perché tocca temi che sono stati sempre sottolineati quando si è ribadita la primaria necessità di una corretta, puntuale e completa compilazione della cartella clinica non solo quale strumento fondamentale per l’assistenza clinica, ma anche come strumento di difesa del medico nei processi per responsabilità professionale.

Ha ritenuto la Cassazione, in una recente pronuncia in tema di risarcimento danni da colpa professionale medica, che essendo onere del medico curare la corretta compilazione della cartella clinica, l’eventuale incompletezza della stessa genera una presunzione dell’errore medico nell’adempimento della obbligazione contrattuale di cura.

Riflessioni conclusive

Cosa ci ha portato la legge Gelli e quali prospettive per il futuro.

Ha portato al medico tanti motivi per alleggerirlo del gravoso peso di un contenzioso sempre più crescente: ma perché ciò accada è necessario che il medico prenda coscienza del suo ben definito ruolo assistenziale verso il paziente così come la legge indica quando indirettamente suggerisce al medico di individuare nel rapporto empatico con il paziente una sostanziale arma di difesa da accuse non di imperizia, che sono rare, ma di imprudenza e di negligenza che denotano indifferenza nel processo assistenziale. Se il medico mostra assoluta prudenza e assoluta diligenza mostrerà, e potrà dimostrare, il suo interesse per il malato e, anche se commette qualche errore, umanamente scusabile, la sua condotta sarà ritenuta colposa e quindi non potrà essere penalmente punibile.

In altri termini, questa nuova disciplina normativa della responsabilità professionale è in grado di rimettere nelle mani del medico il proprio destino a condizioni che egli recuperi il vero senso della sua professione che, ad onta di ogni difficoltà contingenti, deve avere sempre al centro il malato, come persona.

Ultima riflessione: la legge è buona ed auspichiamo una corretta applicazione dei suoi principi fondanti. Ma la Giurisprudenza che trattamento le riserverà.

Dobbiamo attendere fiduciosi le prossime pronunce della Suprema Corte augurandoci di poterle applaudire.

Giovanni Arcudi

Professore di Medicina Legale nelle Università
Preside della Facoltà di Medicina
della Università Cattolica NSBC di Tirana

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