Contro un nemico invisibile: un alert per la prevenzione medica

Incolore e inodore, il radon è la seconda causa di tumore del polmone dopo il fumo e possibile co-fattore di altre patologie: si concentra soprattutto in locali a contatto col suolo e il rischio aumenta con il particolato e l’abitudine tabagica. In Italia il D.Lgs. 101/2020 fissa 300 Bq/m³ per luoghi di lavoro e abitazioni costruite fino al 31.12.2024 e 200 Bq/m³ per le nuove abitazioni: per i medici è cruciale includerlo nell’anamnesi ambientale, indirizzare a misurazioni da tecnici qualificati e promuovere interventi che impediscano l’ingresso del gas, oltre a richiedere la certificazione radon nelle compravendite immobiliari.
Un nemico silenzioso si insinua nelle nostre case, negli ambulatori, negli ospedali, perfino nelle scuole: è il radon, gas radioattivo naturale, incolore e inodore, che si sprigiona dal sottosuolo e si accumula negli ambienti chiusi. L’Organizzazione Mondiale della Sanità lo indica come la seconda causa di tumore al polmone dopo il fumo di sigaretta, ma non solo: altre ricerche scientifiche lo hanno indicato come concausa importante del manifestarsi di leucemie e altri studi sono tuttora in corso. Il radon proviene dal decadimento dell’uranio, e con il termine “decadimento” non s’intende perdita di pericolosità – quella rimane intatta – ma trasformazione dello stato. È un gas naturale rilasciato dalle rocce presenti nel sottosuolo, materiali spesso utilizzati anche in edilizia: pietre vulcaniche, tufo, graniti. Pertanto, la prima fonte di emissione deriva dal terreno, mentre la seconda è rappresentata dai materiali da costruzione, senza dimenticare fonti minori come l’acqua e, in misura ridotta, l’aria.
In Italia il radon è presente con concentrazioni variabili un po’ dappertutto. Questo comporta non solo un aspetto sanitario pericoloso ma anche un quadro normativo preciso: la sua gestione è infatti regolata da decreti legislativi. Non va dimenticato che il radon e altri elementi radioattivi naturali sono presenti sulla Terra fin dalla sua origine e che, agli inizi del ’900, si pensava addirittura che potesse arrecare benessere, tanto da pubblicizzarne la presenza in stazioni termali e acque minerali. Oggi sappiamo che la realtà è ben diversa e tutt’altro che trascurabile: i lavoratori delle terme sono ancora oggi tra le categorie a rischio più elevato.
I luoghi maggiormente rischiosi sono gli ambienti indoor direttamente a contatto con il terreno – interrati, seminterrati o piani terra – poiché il gas penetra attraverso microfessure, condutture, pozzetti, impianti geotermici, fognature, risalendo con l’effetto camino favorito dalla differenza di pressione e temperatura. A volte si trovano concentrazioni rilevanti anche ai piani superiori, quando questi sono collegati con gli spazi interrati attraverso cavedi, tubazioni o ascensori. Essendo invisibile, si tende a pensare che non ci riguardi, esponendoci a un grave errore: nessun luogo può dirsi a priori esente dal rischio. La sua pericolosità dipende dalla concentrazione: se all’aperto è irrilevante, indoor può raggiungere livelli molto pericolosi. Il D.lgs. di riferimento riporta i valori da non superare, distinguendo fra ambienti residenziali e lavorativi, anche se la comunità scientifica concorda nel raccomandare soglie di attenzione più basse. L’OMS e le principali organizzazioni sanitarie sottolineano infatti che il rischio cresce in modo direttamente proporzionale all’aumento della concentrazione.
Il gas radon tende a legarsi al particolato, diffondendosi più facilmente negli ambienti chiusi e aumentando l’esposizione delle persone. Ecco perché i fumatori, o chi frequenta ambienti in cui si fuma, risultano ancora più vulnerabili. Il particolato viene rilasciato anche da camini, cucine a gas, candele e altre fonti indoor. L’attuale decreto legislativo 101 del luglio 2020 fissa il limite medio annuo a 300 Bq/m³ (Bequerel per metro cubo) per i luoghi di lavoro, comprese scuole e strutture sanitarie, e per le abitazioni costruite prima del 31 dicembre 2024, abbassandolo a 200 Bq/m³ per quelle realizzate successivamente. Le misurazioni devono essere eseguite con sistemi passivi su un anno intero, opportunamente integrate da rilevazioni attive di più giorni o settimane per un quadro più accurato. Ed è bene ricordare che, anche al di sotto delle soglie, è opportuno ridurre la presenza del gas il più possibile. La misurazione va affidata a tecnici qualificati: un campionamento scorretto comprometterebbe la validità dei dati e quindi l’efficacia di ogni intervento.
Quanto alle strategie di bonifica, la più efficace è quella che intercetta il radon prima che entri nei locali, convogliandolo all’esterno. Questa soluzione è relativamente semplice durante la progettazione di nuovi edifici o ristrutturazioni, mentre negli immobili esistenti richiede interventi più complessi e progressivi. Sempre più spesso si citano i sistemi di ventilazione meccanica controllata (VMC) come soluzione, ma occorre chiarire che non impediscono l’ingresso del radon: si limitano semmai a diluirne la concentrazione, con risultati variabili e non sempre sufficienti. Il concetto corretto non è dunque quello di ridurre la concentrazione dopo che il gas è entrato, ma di impedirne l’ingresso.
Da ultimo, un suggerimento pratico: quando si acquista un’abitazione o un immobile, è opportuno chiedere il certificato di analisi del radon, purché recente e successivo a eventuali lavori strutturali, e un attestato di salubrità ambientale indoor. Questi documenti consentono di conoscere le condizioni di salute dell’edificio, valutare gli interventi necessari e incidono anche sul valore di mercato. La loro assenza riduce il prezzo dell’immobile e aumenta il rischio per gli occupanti. Per tutti questi aspetti è indispensabile rivolgersi a professionisti competenti e specializzati. Il radon è un nemico invisibile ma reale: la scienza ne ha dimostrato la pericolosità, la legge ne regola la gestione, ma solo la consapevolezza diffusa e il coinvolgimento della comunità medica possono trasformarlo da minaccia silenziosa a fronte concreto di prevenzione sanitaria.

